giovedì 4 ottobre 2012

"Gott mit uns" di George Grosz: il brutto, il grottesco, la satira


di Serena Di Giovanni

Gott mit uns e Dada-Messe

Dal 30 giugno al 25 agosto del 1920 a Berlino, nella bottega d’arte del dottor Otto Burchard (Finanzdada), avviene la Prima Fiera Internazionale Dada, organizzata dal Propagandada Marshall George Grosz, dal Dadasoph Raoul Hausmann e dal Monteurdada John Heartfield. Nata come provocazione, Dada-Messe raccoglie più di 150 opere tra quadri, oggetti, cartelloni, collages, marionette, fotografie, riviste e montaggi. Con essa, gli espositori intendono opporsi al militarismo e al capitalismo, al ridicolo autoritarismo della classe dirigente e dell’alta borghesia di Weimar. Piuttosto noto è, a questo proposito, il fotoritratto di Grosz accompagnato dalla citazione “DADA è la disgregazione intenzionale del mondo concettuale borghese e DADA sta dalla parte del Proletariato rivoluzionario”, che lo immortala di profilo in atteggiamento bellicoso[1]. Insieme con il Preußischer Erzengel, l’Arcangelo prussiano, soldato-marionetta dalla testa porcina, i nove fogli della cartella Gott mit uns, sparsi sul tavolo e quasi casualmente esposti agli occhi dei presenti, conducono Grosz e Herzfelde al processo per vilipendio delle Forze Armate del Reich[2]. Il 9 settembre e il 15 ottobre del 1920, presso la Malik-Verlag, gli esemplari reperibili della cartella e alcuni disegni del Propagandada vengono sequestrati su disposizione del capo della Polizia di Berlino. 
Il processo ha luogo il 20 aprile 1921. Per Grosz e Herzfelde sono richieste sei settimane di detenzione, trasformate, durante il processo, in una pena pecuniaria di 300 marchi per il primo e di 600 marchi per il secondo. Gli altri imputati invece vengono assolti. Paradossalmente, al ministro della Difesa del Reich è riservata la possibilità di pubblicare la cartella, mentre le matrici vengono ritirate e distrutte[3]




Gott mit uns: Die Gesundbeter, Zuhälter des Todes, Die Kommunisten fallen — und die Devisen steigen

Gott mit uns. Dio è con noi. É il motto dell’ordine teutonico, comparso anche nelle fibbie dei cinturoni appartenuti ai soldati tedeschi durante la prima guerra mondiale. Gli stessi soldati che Grosz, in Un piccolo sì e un grande no, ricordava nei loro volti bestiali[4]. Gott mit uns è altresì il nome di una cartella di nove litografie, pubblicata nel 1920 dalla Malik-Verlag, casa editrice gestita da Wieland Herzfelde. Le fotolitografie secondo disegni portano titoli in francese, in tedesco e in inglese[5]. In questo contributo, del portfolio grafico si andranno a considerare in particolare i fogli 5 (Le Triomphe des sciences exactes/ Die Gesundbeter/ German Doctors Fighting the Blockade), 6 (Les maquereaux de la mort/ Zuhälter des Todes/ The pimps of death) e 8 (Ecrasez la famine / Die Kommunisten fallen — und die Devisen steigen / Blood is the best sauce)[6].




Disegnai molte scene di vita militare, attingendo agli schizzi che avevo fatto sul taccuino durante il servizio […]. Disegnai soldati senza naso […]; […] disegnai un scheletro vestito da recluta, che passava una visita militare. Questi erano solo alcuni dei miei disegni antimilitaristi e satirici di quel periodo[7].

In Die Gesundbeter si vede uno scheletro verminoso sull’attenti, inserito al centro di una sala di un ospedale militare. Alle sue spalle, quattro finestre sbarrate lasciano intravvedere gli alti palazzi e i fumi delle case e delle fabbriche berlinesi. In primo piano due militari ridono e fumano. Sulla destra altri due, seduti a una scrivania, fumano e scrivono. Accanto a loro, un personaggio ha lo sguardo rivolto verso il basso. Nessuno presta attenzione a quanto accade nella stanza. Di fronte a questa indaffarata commissione, di cui sono rappresentati tutti i gradi militari, un corpulento medico, a occhi chiusi, come la maggior parte degli astanti, ha appena verificato l’idoneità dello scheletro alle armi e l’ha giudicato “KV” (abile al servizio)[8]. É il trionfo della scienza, dei medici taumaturghi tedeschi in lotta contro il blocco degli alleati[9].




George Grosz, Die Gesundbeter, 1918.



Ce ne andavamo […] a spasso per i sobborghi che si andavano estendendo come un polipo, e ritraevamo tutto ciò che ci circondava: gli edifici di nuova costruzione, le miserie della città, i treni che sfrecciavano sui ponti e le strade durante i lavori di pavimentazione. […] la vita notturna mi affascinava […]. Nella nostra ricerca di eccitanti, passeggiavamo per le vie di Friedrichstadt infestate dalle sgualdrine. Le donne di piacere se ne stavano sugli usci come sentinelle, dondolando le loro borsette […][10].

In Zuhälter des Todes si osservano, in primo piano, tre neghittosi uomini in uniforme, contrassegnati dalla tipica iconografia militare. Alle loro spalle si apre una città brulicante di personaggi deformi: scheletri di ricche “signore” impellicciate, di donne ferme sull’uscio di casa; figure ambigue e altrettanto ischeletrite che come spettri passeggiano lungo le strade della città[11]. Palazzi contemporanei imbrattati da graffiti e costellati da lucernari, bandiere e finestre semichiuse con tendine, da cui un solo teschio si affaccia, fanno da quinta scenografica a una società di cadaveri disadattati, apparentemente viva e affidata alla sorvegliata cura della casta militare, qui rappresentata da tre indolenti ufficiali. Essi sono i protettori della morte.



 George Grosz, Zuhälter des Todes, 1920.


 George Grosz, Die Kommunisten fallen - und die Devisen steigen, 1919.


In Die Kommunisten fallen — und die Devisen steigen un militare e un capitalista, perfetti esponenti del mondo di Weimar, banchettano di fronte a diversi boccali di birra e di vino, mentre sul fondo alcuni soldati attrezzati con fucili, coltelli, pistole, manganelli e spade massacrano i dimostranti. Dunque, secondo un sistema inversamente proporzionale, i comunisti calano, ma i profitti crescono.

Il brutto, il grottesco, la satira

Numerosi studi hanno evidenziato come lo stile, il brutto e il grottesco delle stampe contenute in Gott mit uns affondino le proprie radici sia nell’espressionismo tedesco di Kirchner e di Meidner, sia nel realismo satirico e moralizzante dei francesi Courbet e Daumier[19].  Oltretutto, in uno scritto del 1925, Die Kunst ist in Gefahr (L’arte è in pericolo), Grosz ricordava:

[…] ammiravo i giapponesi, che osservavano la natura con infinita attenzione; trovavo le loro xilografie piene di vivacità e mi piaceva specialmente il fatto che descrivessero la vita di ogni giorno. Altrettanto mi stimolava Toulouse-Lautrec. Ma guardavo volentieri anche intagli in legno antichi e primitivi, che nella tecnica lineare più semplice trovano una più chiara capacità espressiva […] mi interessavano i pittori di tendenza e i moralisti: Hogarth, Goya, Daumier e artisti di quel genere[20].

Si deve tuttavia precisare che la matrice della vena sarcastica di Grosz, la sua capacità di catturare e restituire l’essenzialità dei fatti e il taglio caricaturale delle sue creazioni vanno altresì rintracciati nella penna talvolta volgare e immediata dei caricaturisti attivi per Ulk e per Simplicissimus, di cui appresso forniamo qualche esempio [21].


       

Simplicissimus; 3 aprile 1917.


Ma è soprattutto nella Scuola di Arti Applicate di Berlino, dove si insegna il rapporto tra arte ed editoria, che Grosz impara a utilizzare correttamente il mezzo grafico. Inoltre:

[…] d’août à novembre 1913, il vit à Paris et suit des cours à l’atelier Colarossi, où il développe une technique rapide de croquis avec des modèles qui changent de pose toutes les cinq minutes. Une telle formation s’avère extrêmement utile: dès lors, il emporte toujours avec lui un petit cahier de croquis pour dessiner les passants et la vie animée des rues de Berlin[22] .

Intuiamo l’importanza degli schizzi parigini per le sue litografie. Dal disegno infantile della prima produzione grafica, connesso alla letteratura popolare illustrata e al primitivismo del Cabaret Voltaire, l’artista passa a un eloquio figurativo più caricato, quasi espressionistico, ma del tutto peculiare. In Gott mit uns, la regressione formale delle preesistenti litografie è a un grado certamente minore. Perché? Ora, egli ha l’inderogabile compito di smascherare i buffoni della società. Il medium estetico agisce da specchio che riflette al popolo i vizi e le ipocrisie della classe dominante, dei capitalisti e dei militari, uno specchio che mostra le “cose” nella loro verità completa. A questo scopo, Grosz rovescia il linguaggio espressionista della formazione: rifiuta un punto di vista spirituale e intimistico, per una prospettiva il più possibile aderente alla realtà. In altre parole, egli impiega il dispositivo grafico per palesare il carattere dissimulato della società di Weimar e, con esso, la sua vera facies[23]. Immediato, riproducibile e facilmente divulgabile, tale strumento costituisce uno dei mezzi più idonei a esprimere la bruttezza della nazione tedesca e ciò che la censura nasconde[24]:

Disegnavo e dipingevo per opporre resistenza e tentavo con il mio lavoro di convincere il mondo che esso è odiosamente brutto, malato e falso[25].

Per riuscirci, per far sì che l’immagine evolva in messaggio, la grafica deve necessariamente attingere a una certa forma di realismo. Interessante a questo proposito il commento di Hannah Arendt, storica e filosofa tedesca, riportato da Peter Gay:

Noi altri, in quegli anni giovani studenti, non leggevamo giornali […]. Le caricature di Grosz non ci parvero satire, quanto piuttosto realistici reportage. Conoscevamo quei tipi. Erano ovunque intorno a noi[26].

Il sigaro, le armi, la divisa, le posate, i boccali di birra, l’aspetto pasciuto dei militari; le donne dai lunghi soprabiti, gli uomini muniti di bastoni e di bombette; le strade, gli angoli delle periferie berlinesi; perfino le finestre e i muri fatiscenti delle architetture si fanno strumenti indispensabili per una valida comunicazione visuale. Essi narrano con la semplice presenza. In Gott mit uns, i ripetuti elementi iconografici stanno all’immagine come le parole al racconto. Ogni segno visivo diventa vocabolo. L’assembramento di più dettagli nello spazio neutro del montaggio, di più parole nella bianca pagina del testo grafico, crea un messaggio politico preciso: l'art pour l'art non esiste o, quantomeno, non risponde più ai bisogni della realtà contingente. La litografia si trasforma in un collage di segni, dove immobilità temporale e ossessione analitica appaiono esattamente bilanciati. Gli elementi iconografici “ritagliati dalla realtà” circostante e combinati intenzionalmente dentro il foglio provocano uno shock percettivo che stimola il fruitore all’ironia e alla ribellione[27]. Ormai, la maturità stilistica raggiunta dal Propagandada elimina ogni tipo di diversità di resa tra collages, fotomontaggi e disegni a penna. Al di là delle differenze tecniche, medesimo diventa il fine: “dire attraverso l’immagine”. A questo riguardo, non è casuale la definizione che Raoul Hausmann ha offerto dei primi collages di Grosz: un mélange de dessins et de coupures de catalogue[28].
La mia arte doveva essere la mia arma, la mia spada, ha scritto l’artista qualche anno più tardi[29]. In questo modo la dialettica tra impegno contenutistico e interesse formale trova il suo naturale sbocco nella satira. E nei fogli di Gott mit uns, questa è accentuata dalla contradiction entre la représentation satirique et l’apparente objectivité de la légende accompagnant l’image[30].


Dada e Weimar

La Repubblica di Weimar venne proclamata dai leader socialdemocratici Friedrich Ebert e Philipp Scheidemann nel novembre 1918, in un paese esausto, mortalmente stanco della guerra[31]. Nello stesso anno, Grosz aderì alla Komunistische Partei Deutschlands, connessa alla Spartakusbund, movimento rivoluzionario formato da un piccolo gruppo di marxisti guidati da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. L’infanzia passata a stretto contatto con la classe militare e con i suoi costumi, gli aveva consentito di individuarne precocemente tutta la doppiezza[32]. Inoltre, l’esperienza avuta al manicomio militare nel 1917 e la haine provoquée par la guerre, accesero in lui l’impulsion au dessin et à la peinture[33]:

In ogni occasione esprimevo il mio sconforto in piccoli disegni. Tutto ciò che mi dispiaceva, tra quel che mi circondava, lo riproducevo su di un taccuino o su fogli di carta da lettere. C’erano i volti bestiali dei miei compagni, mutilati di guerra, ufficiali arroganti […]. Feci centinaia di schizzi che servirono più tardi come base per disegni più grandi e litografie. Volevo ritrarre tutto quel che di ridicolo e di grottesco mi capitava sotto gli occhi. […] Rappresentavo solo le brutture e le storture che vedevo[34].

Tra il 1918 e il 1919 scoppiava la rivoluzione, l’imperatore abdicava, le lotte spartachiste venivano brutalmente soppresse e i Consigli operai fallivano[35]. Sullo sfondo di questo incandescente scenario veniva redatto il manifesto dadaista berlinese, ancora privo di un intento politico ma inteso a rompere con le preesistenti avanguardie, dal Cubismo al Futurismo, all’Espressionismo[36]. Dada, però, era nato a Zurigo, con gli artisti e gli intellettuali del Cabaret Voltaire, tipico locale d’avanguardia. Fondato nella cittadina svizzera durante il 1916, quest’ultimo aveva elaborato nuove forme d’arte per salvare il mondo da sé stesso e dal conflitto:

Le cabaret prend une orientation très clairement politique et devient le lieu de rencontre de tous les artistes modernistes étrangers attirés par Zurich pendant la guerre, un lieu où les participants « non seulement jouissent de leur indépendance mais en donnent la preuve ». Il satisfait aussi au désir de créer une communauté d’exilés[37].

Interdisciplinarietà, astrazione, primitivismo, cinismo, alienazione, aspetto ludico, sincretismo culturale, attivismo: sono solamente alcuni dei principali fattori che hanno caratterizzato il Dada zurighese e, per certi aspetti, il gruppo berlinese, di cui oltre a Grosz, presente alla Rivoluzione di Novembre, hanno fatto parte Raoul Hausmann, Hannah Höch, Wieland Herzfelde, Richard Hülsenbeck, John Heartfield (anche lui iscritto al partito comunista) e Otto Dix[38]. Tuttavia, rispetto al clima pacifista di Zurigo, il movimento dadaista a Berlino si era tinto dei colori dell’impegno e della rivolta contro il militarismo e il capitalismo incarnato dalla Repubblica[39].  
La rivoluzione del 1918-19, infatti, non aveva prodotto grandi cambiamenti. L'esercito, la burocrazia e la magistratura del vecchio regime si erano trasfusi rapidamente nel neonato ordinamento politico. Dopo che Ebert, concluso l’accordo con il generale Groener, aveva accettato l’aiuto dei militari per il mantenimento dell’ordine, questi ultimi, rei di aver condotto la Germania al conflitto mondiale, erano tornati al governo  più forti di prima[40]. Nei primi quattro anni di Weimar, il riemergere delle milizie al potere pubblico, i frequenti assassini a sfondo sessuale e politico, l’impunità concessa ai loro esecutori e l’inflazione causata dalla guerra, dalla carenza di oro e dalla fuga di capitale, avevano alimentato le speranze della classe monarchica e militarista, desiderosa di rivivere i fasti del passato. Ed effettivamente, nel giro di pochi anni, l’alleanza tra conservatori e forze armate non solo aveva riacquistato il suo carisma agli occhi del pubblico, ma aveva contribuito ad addossare alla Repubblica il mito di un esercito insuperabile, pugnalato alle spalle da ebrei e comunisti.

Si è accennato come le città tedesche fossero controllate dai militari e dai loro randelli. L’incapacità gestionale dei pubblici ufficiali è altresì ricordata dalle ironiche pagine dell’autobiografia di Grosz, Un piccolo sì e un grande no, in particolare nella descrizione della condotta oltremodo brutale di una guardia cittadina a passeggio per i vicoli di Berlino: un giovane rosso in volto, in uniforme blu, con elmetto, gambali, scarpe di cuoio […], ben curato e ben pasciuto[41]. Da qui alle nostre litografie il passaggio è breve. Perché in Die Gesundbeter la pace è provocatoriamente consegnata nelle mani di scheletri putrefatti reclutati da uomini corrotti. La morte genera morte. Non solo. Si è voluto creare il mito di un esercito invitto e invincibile ma vile è la sostanza che lo costituisce. Servendosi della stessa materia, Grosz ne mette in ridicolo la prosopopea. E il disegno si fa aderente alla realtà disegnata. In Zuhälter des Todes, l’ordine delle desolate strade cittadine è garantito dalla “vigile” presenza di ciechi, sordi e alticci militari, ineluttabilmente estranei a ogni senso del dovere e, per questo, definiti “sfruttatori della morte”[42]. La città è infestata da soldati effeminati, da prostitute arricchite, da mutilati e da speculatori: il risultato del conflitto, la nuova società di Weimar. I personaggi di Zuhälter des Todes difatti appartengono alle diverse categorie di alienati generate dalla guerra mondiale. E in esse la frattura tra i differenti livelli sociali appare volutamente evidenziata per esprimere des causalités de la société, ma anche il discrepante tenore di vita della classe dominante e di quella proletaria[43].
Grosz disegna tipi, prototipi realmente esistiti nella Germania dei primi anni Dieci del Novecento. Ne traccia il profilo come fosse un giornalista, un fotografo attento a ogni singolo dettaglio utile alla sua inchiesta. Intorno al 1925, peraltro, egli aveva dichiarato:

[…] cominciai a capire che c’era uno scopo migliore del lavorare solo per sé e per i mercanti d’arte. Volli diventare un illustratore, un giornalista[44] .

Al riguardo, si deve ricordare il contributo di Kurt Tucholsky, scritto a seguito del processo intentato contro l’artista per la pubblicazione della cartella:

[…] i disegni di Grosz mettono a nudo il militarismo tedesco da Guglielmo fino al suo più grande successore, il traditore dei lavoratori Noske. Sergenti maggiori, sottufficiali medici, cassette del pronto soccorso dei maggiori medici, generali comandanti del vino rosso, tenenti da bordello e ogni tipologia umana tremenda rappresentata dai prigionieri del corpo dei volontari non sono mai stati raffigurati con tanta accuratezza come in questi quadri […][45].

I comunisti assassinati alle spalle dei due signorotti seduti al tavolino di Die Kommunisten fallen — und die Devisen steigen sono i dissenzienti al predominio della classe dirigente, i nuovi Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, barbaramente massacrati nel 1919. Sono i socialisti accusati e indebitamente condannati dai faziosi giudici del Reich, in gran parte provenienti dalle classi privilegiate ed estremamente tolleranti verso quegli ex-ufficiali protagonisti, durante la Repubblica, dei più efferati delitti[46]. Dunque, come Jolanda Nigro Covre ha evidenziato, le litografie di Grosz esprimono una tipica Weltanschauung, oltre che una vera e propria azione di propaganda contro grassi industriali e profittatori di guerra[47]. Fuggendo da ogni intento meramente psicagogico, esse denunciano l’alleanza di aristocratici e industriali, di capitalisti e militari; l’inflazione e il mercato nero, la sfiducia nell’umanità moralmente degradata che ha condotto alla guerra. Soprattutto, i fogli di Gott mit uns rivelano l’alterigia dei fanatici militaristi e la loro immunità giudiziaria nella proteiforme realtà della fragile Repubblica di Weimar[48].


Bibliografia
DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, pp. 144-1014.
Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 118-181.
Dada, l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994, pp. 15-30; 39-88.
G. Grosz, Il volto della classe dirigente, introduzione di Giorgio Bocca, Milano, 1974, pp. 5-10.
G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 5-10.
G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, pp. 138-169.
G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al 1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, pp. 229-231.
George Grosz. Berlino - New York, catalogo della mostra, Milano, 2007, pp. 13-104.
J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 13-151.
Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 182-194.
P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari 1978, pp. 29-234.


Sitografia
http://www.dada-companion.com/dada-messe/


[1]Dada-Messe è la negazione di tutti i sistemi convenzionali dell'arte, una feroce critica alla casta militare, borghese, burocrate protetta dalla Repubblica di Weimar: […] Tandis que le murs sont constellés de slogans – « Nieder die Kunst » (À bas l'art), "Dilettantes, erhebt euch gegen die Kunst" (dilettantes, révoltez-vous contre l'art). "Dada se tient du côté du prolétariat révolutionnaire", "Dada est politique", "À bas la morale bourgeoise", clament enfin les affiches à la manière d'un programme idéologique. La Foire est de fait nihiliste, communiste, anticléricale et antibourgeoise: S. Bernard, Dada–Messe foire, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 322. Vedi anche P. Gay, La cultura di Weimar, (1968), trad. it., Dedalo, Bari 2002, pp. 29-56; 217-234.
[2]Avec Deutschland, ein Wintermärchen, représentation satirique du jugement dernier, avec le portfolio Gott mit uns et le figure  du « sous – officier allemand prussien à tête de cochon », Grosz, Heartfield et Schlichter raillent la tradition chrétienne et le militarisme du régime: S. Bernard, Dada–Messe foire, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 322.
[3] Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 103-112; Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 128; 130-132; Per il biennio 1919-20, vedi Dada, l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994,  p. 87. Cfr. Matthew S. Witkovsky, Chronologie, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, pp. 227-230; vedi anche S. Kriebel, George Grosz, in DADA,  catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444.
[4]G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975.
[5]La casa editrice Malik, fondata nel 1917, diventò le principal éditeur de littérature communiste. Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 130.
[6] Cfr. S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444.
[7] G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, pp. 146-147.
[8] Come in una vignetta, le lettere “K” e “V” sono collocate in un balloon (fumetto).
[9] La critica dei dadaisti non è tanto rivolta al progresso scientifico, quanto piuttosto all’impiego delle scienze per annullare l’essere umano. Lo sviluppo tecnologico, infatti, aveva prodotto le condizioni necessarie all’avvio del  conflitto mondiale.
[10] G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, pp. 139-141.
[11] Le signore indossano berretti simili a quelli militari. Del resto anche le figure a passeggio sullo sfondo, prive di una precisa connotazione sessuale, presentano lunghe vesti e cappelli dello stesso tipo. Chiaramente, l’artista intende realizzare un collegamento tra prostituzione, morte ed esercito.
[12] L’impiego del personaggio come filtro tra lo spettatore e l’immagine urbana, presente anche nei quadri di Meidner, sembra sia ispirato a Boccioni. Il rapporto città-figura nei tre artisti è ovviamente risolto in maniera diversa. Non si può tralasciare tuttavia l’impatto che la pittura futurista (incontrata a Parigi nel 1913 e a Berlino con Der Sturm) ebbe sulla formazione di Grosz. Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, p. 74.
[13] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al 1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, p. 229.
[14] G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, p. 7.
[15] J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 72-77; 141-142.
[16] Ė evidente, infatti, che qualcosa stia cambiando. Le architetture, in Gott mit uns, tornano in piedi. Grosz aveva conosciuto Valori Plastici già prima degli anni Venti. La rivista è diffusa in Germania dalla libreria di Hans Goltz di Monaco. Nel numero di Der Ararat del gennaio del 1920, inoltre, sono presenti due piccoli articoli sull'arte metafisica italiana. Cfr. Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p.194. Cfr. anche J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 103;139-140; cfr. anche G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, p. 9.
[17] J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 143-145.
[18] A questo momento di passaggio appartengono sicuramente opere come Giorno grigio (1921). Prima del 1933, anno dell'espatrio negli Stati Uniti, Grosz – attraverso Carrà e De Chirico­ – approda agli stilemi della Nuova Oggettività (1925). In questo periodo sembrano convogliarsi le precedenti esperienze: dalla linea sinuosa di Toulouse-Lautrec, alla messa in rilievo realistica del dato anatomico, fino all’esasperazione caricaturale o, ancora, alla riduzione del tratto nello stile fumettistico. Cfr. J. Nigro Covre,  L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 141-142.
[19] Tra il 1912 e il 1914 Ernst Ludwig Kirchner, fondatore della Brücke, realizzava un cospicuo numero di scene di strada, ambientate nel centro della vita notturna berlinese. I suoi soggetti urbani erano popolati da ammaliatrici e inquietanti cocottes. Con Grosz e i futuristi italiani, presentati in Der Sturm nel 1913, Kirchner condivide in particolare l’apparente rapidità di esecuzione che evidenzia un caotico movimento delle figure nelle diverse direzioni dello spazio. Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp.13-151; G. Grosz, Il volto della classe dirigente, introduzione di Giorgio Bocca, Milano, 1974, pp. 5-10; G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 5-10; Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 118-181.
[20] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al 1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, pp. 229- 231.
[21] En 1909, il entre à l’académie royale des Beaux-Arts de Dresde. Il est diplômé le 30 mars 1911. Ses premières caricatures paraissent la même année dans Ulk, un supplément du Berliner Tageblatt: S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444; Dada, l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994, p. 350. Per Simplicissimus vedi http://www.simplicissimus.info/. Inoltre: fuori dell’accademia i suoi idoli erano i caricaturisti di “Ulk” e del “Simplicissimus”: Bruno Paul, Julius Klinger, Franz Christophe e Pretorius: G. Grosz, Lo specchio del borghese, introduzione di Enzo Bilardello, Milano, Rizzoli, 1976, p. 5.
[22] S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444.
[23] G. Grosz, Il volto della classe dirigente, introduzione di G. Bocca, Milano, 1974, pp. 5-10. Per la contestazione di Grosz all’espressionismo della Novembergruppe, rivolta soprattutto al comportamento apolitico del gruppo, consulta Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 136; J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, p. 104.
[24] Le litografie hanno costi contenuti e possono essere facilmente divulgabili. Esistevano due tirature, una più costosa su carta giapponese, l’altra più economica e di facile acquisizione. Cfr. “Gott mit uns”  in http:// www.moma.org/collection/. Vers 1920, suit la phase lutte de classes de l’œuvre de Grosz qui très vite dans les années 20 le fait connaître par des reproductions â bon marché et de nombreuses copiés dans des publications très répandues […]: Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 186.
[25] Ivi, pp. 24-25;144; per l’ironia, la satira e l’estetica della bruttezza nel dadaismo berlinese vedi Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 128;132-134. 
[26] P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari, 2002, pp. 117-157.
[27] Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, p.106.
[28] S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 456. Si chiarisce, così, l’apporto della Scuola di Arti Applicate di Berlino alla formazione dell’artista. Durante il periodo Dada l’opera di Grosz, oltre alle caricature, alle pitture e ai collages, comprende anche la produzione di fotomontaggi sbeffeggianti i pilastri della società di Weimar. Al pari della grafica, le sue composizioni privilegiano il dettaglio scabroso, l’episodio grottesco. Esse smascherano l’esistenza meschina di una piccola borghesia sorpresa nelle sue attività illegali. Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 103-112.
[29] G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, p. 161.
[30] J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp.141-142; Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 132.
[31] Vedi P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari, 2002, pp. 217-234.
[32] En 1902, ils retournent à Stolp, où Marie Gross devient gérante du casino des officiers dans le régiment de hussards du prince Blücher. Ainsi Georg est en contact avec des militaires dès son enfance: S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 444.
[33]Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 186.
[34]G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, p. 159.
[35] Durante la Rivoluzione di Novembre (1918) si aveva combattuto per togliere il potere dalle mani dei vertici militari, collettivizzare le industrie e dare alla Germania una Costituzione che la trasformasse in una Repubblica guidata da consigli popolari.
[36] Cfr. J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, p. 104.
[37] Lea Dickerman, Zurich, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 990; Matthew S. Witkovsky, Chronologie, in DADA,  catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 219.
[38] Cfr. S. Kriebel, George Grosz, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, pp. 444– 457. Per il Dada a Berlino cfr. Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 118-181.
[39] Dada, l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994,  p. 86. Vedi anche S. Bernard, Berlin club Dada, in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, pp.144-148: en 1909, à Berlin, Hausmann précise également les principes idéologiques du Club: « le club Dada représentait dans la guerre l’Internationale du monde, il est un mouvement International et anti-bourgeois […]. Le club Dada, c’est la fronde contre le travailleur intellectuel ».
[40] P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari, 2002, pp. 43; 217-234; Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 130-131: Weimar n’est que mensonge, le déguisement de la barbarie teutonique – déclarait Raoul Hausmann. C’est l’ « esprit de Weimar » que les dadaïstes de Berlin attaquaient  sans ménagement.
[41] G. Grosz, Un piccolo sì e un grande no, a cura di A. Negri, ed. Longanesi, Milano, 1975, p. 169.
[42] Letteralmente, pimp significa protettore, mezzano. In questo caso, l’arguta critica dell’artista è principalmente rivolta allo sfruttamento della difficile situazione economica, politica e sociale della Germania, da parte di militari e di capitalisti nel dopoguerra.
[43] Contro la follia della guerra, un’altra follia: così il dadaismo spesso contesta il sistema alle origini del conflitto mondiale. Neue Sachlichkeit – Nouvelle Objectivité, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, p. 186: […] Dans ces images dialectiques il n’exprime pas des problèmes artistiques individuels, il illustre au contraire des vues marxistes.
[44] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al 1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, p. 230.
[45] George Grosz. Berlino-New York, catalogo della mostra, Milano, 2007, p. 103.
[46] Giornali come Tagebuch e Weltbuhne denunciarono e combatterono gli assassini con le stesse armi di George Grosz: l’ironia e il sarcasmo. P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari, 2002, pp. 29-56.
[47] In quest’ottica, le litografie trovano un confronto con i dipinti di operai, con i ritratti di mezzani e di prostitute di Otto Dix. Vedi J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, p. 164.
[48] Anche in opere quali Trafficante di brillanti e Il colpevole resta anonimo, Grosz smaschera le speculazioni moralmente illecite della ricca borghesia tedesca sullo sfondo del disagio economico vissuto dal proletariato dopo la guerra. Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris Gallimard 1992, pp. 130-134;186-87.   

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