martedì 16 ottobre 2012

HEARTFIELD E L’USO POLITICO DELL’IMMAGINE: IL FOTOMONTAGGIO COME TERZA VIA TRA COSTRUTTIVISMO SOVIETICO E REALISMO SOCIALISTA

di Serena Di Giovanni




Alla fine degli anni Venti del Novecento cominciò a svilupparsi ciò che Denys Riout, a ragione, definì la ‘seduzione del reale’. Con i papier collé cubisti, frammenti della realtà entravano all’interno delle opere. La realtà faceva irruzione nella finzione e la finzione si fingeva reale. La battaglia iniziata da Braque e, in particolare, dalla Natura morta con sedia impagliata di Picasso era giunta a compimento. Da quel momento, si gettarono le basi per una rivoluzione artistica in rottura con l’idea di rappresentazione.

Invece di rappresentare la forme del mondo, l’opera plastica si elabora a partire dai frammenti direttamente prelevati dalla trama del reale[1].

Nacque il collage e, con esso, il ricorso a materiali eterogenei, l’impiego dei ritagli tipografici nella produzione artistica, tanto cari ai dadaisti e allo stesso John Heartfield. Se le finalità potevano e dovevano essere differenti, medesimo era il procedimento, fondato sull’assemblaggio casuale o voluto dei diversi frammenti delle ‘cose’. Ulteriore variante dei collages, i fotomontaggi – o, meglio ancora, i photocollages - utilizzavano materiali capaci di intrattenere un particolare rapporto con l’elemento reale. La catastrofe umana e le incertezze politiche alla fine del conflitto mondiale giocarono, a questo scopo, un ruolo decisivo. Gli artisti erano alla ricerca di nuove ambizioni. La pittura e le arti dovevano sottoporsi a un cambiamento radicale. A Berlino, nel dopoguerra, i fotomontaggi ebbero un grande potere di propaganda, basato sulla credibilità del materiale utilizzato[2]. Giocando col fuoco della realtà (Aragon), la carica emotiva e l’immediata efficacia visiva delle immagini manipolate, Heartfield mise a punto un’arte rivoluzionaria, sovversiva e antinazista. Contemporaneamente, anche in Russia Aleksandr Rodčenko e El (Lazar) Markovič Lissitzky concepirono creazioni di forte impatto plastico e dall’azione militante[3] (fig.1). I procedimenti di associazione e di montaggio interessarono anche il fotografo costruttivista ungherese László Moholy –Nagy che nel 1925, in Pittura Fotografia Film, manifesto teorico della fotografia contemporanea, mostrava la propria fiducia nell’avvenire delle fotoplastiche, definite:

un metodo sperimentale di rappresentazione simultanea; una compenetrazione condensata di gioco visuale e verbale. Inquietante unione che attinge all’immaginario, realizzata dalla strumento imitativo più reale[4].

Per Moholy–Nagy esse potevano essere allo stesso tempo narrative, palpabili; più vere ‘della vita stessa’[5]. Il montaggio di immagini era, secondo il fotografo, lo strumento più efficace per abbracciare la nuova cultura dello sguardo e della realtà. In Pittura Fotografia Film la fotoplastica appariva distinta sia dal fotomontaggio dada, sia dallo strumento politico e propagandistico utilizzato dai costruttivisti russi Rodčenko e Klucis, per un ordine formale più chiaro e strutturato. Eppure, non mancava in essa una dimensione politica, di critica sociale (fig. 2), che accomuna l’esperienza creativa del fotografo ungherese a quella dell’artista politicamente impegnato Heartfield. E venendo all’argomento precipuo di questo contributo, è opportuno evidenziare che la tecnica del montaggio utilizzata dall’ex Monteurdada pone agli occhi del critico di oggi e di ieri una serie di quesiti e di riflessioni sulle relazioni che, a partire dagli anni Venti del Novecento, si strinsero in Germania tra avanguardia estetica e avanguardia politica, tra emancipazione culturale ed emancipazione politica[6].


       
1.       Aleksander Rodčenko, Impara l'uso del fucile, 1931.
2.       László Moholy–Nagy, Militarismo, 1924.


Nella sua teoria artistica, il critico Carl Einstein difese strenuamente quella parte di avanguardia che si era battuta per salvare un’arte politicamente e socialmente impegnata. Rigettando l’idea di un ductus meramente realistico, una concezione dell’arte tesa a stabilire l’assoluta coincidenza tra rappresentazione e oggetto rappresentato, Einstein concluse che l’avanguardia, una volta separata dal suo vero destinatario - il popolo e le masse - si era fatta espressione della situazione sociale ed economica degli intellettuali in una società capitalistica avanzata, senza tuttavia muovere davvero lo spettatore alla ‘rivoluzione’. In altri termini il critico, pensando agli intellettuali in lotta per liberare l’umanità dalle rovine del sistema di valori weimariano, in particolare agli espressionisti della Novembergruppe, ne criticava il linguaggio, ricco di metafore e pertanto inefficiente a trasmettere un messaggio chiaro e concreto. Le fratture e le contraddizioni della società potevano essere evidenziate solo attraverso un mezzo formale ‘aperto e attivo’, come la fotografia. Di qui la grande intuizione di Einstein: un’arte impegnata che miri a suscitare l’azione politica è in violenta contraddizione con un linguaggio ermetico, metaforico e metafisico.
Fu Tretjakov a introdurre per la prima volta la nozione di ‘artista politicamente attivo’, con il compito di stimolare la fantasia e la coscienza dell’osservatore, spesso spettatore passivo dell’opera d’arte. In questo modo, la creazione artistica cessava di avere un valore meramente pedagogico e didattico e finiva per diventare rivoluzionaria. Obiettivo, questo, condiviso sia dal Costruttivismo sovietico, sia dal Realismo sociale, due approcci diversi, ma uniti – sotto la Repubblica di Weimar – dalla fuite hors des contraintes du rêve, de l’utopie, du cynisme et de la protestation aveugle afin d’assumer des responsabilités sociales[7]. Attraverso l’uso del manifesto, i costruttivisti oltrepassarono la fase della semplice distruzione delle forme per demolire l’edificio della società capitalistica e indirizzarsi verso un’umanità universale. Anche i realisti furono partigiani dell’espressione estatica, beffeggiarono il filisteo e lo posero di fronte a uno specchio, che gli fece osservare sa face grotesque[8]. Tuttavia, agli occhi del critico entrambi i linguaggi si dimostrarono insufficienti. Se, infatti, il Realismo sociale, rimanendo estraneo a ogni tipo di intento rivoluzionario, si contentava di riprodurre le condizioni mediocri di una realtà miserabile, il linguaggio dei costruttivisti, ambivalente e difficilmente decifrabile, esigeva une conscience de classe hautement développée, qu’un art qui se veut politique devrait commencer par développer en chacun[9].


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L’arte impegnata ha una responsabilità sociale, ha l’obiettivo di immaginare e di progettare un nuovo mondo, di denunciare le contraddizioni della società e, contemporaneamente, affrontare le tematiche più urgenti: la guerra, le ingiustizie sociali, lo sfruttamento e il riscatto delle classi emarginate. Dal Realismo di impegno sociale di messicani e americani, al Costruttivismo, al Cubofuturismo e al Realismo socialista dei sovietici, scelte linguistiche disomogenee, pluralità di opposizioni e di valutazioni risposero a tale unico fine. Fra queste, l’esperienza degli atelier sovietici, nati intorno al 1918, fu oltremodo decisiva per la formazione di un indirizzo che fosse al servizio della società, basato sul principio del superamento didattico della divisione tra arti figurative applicate, meglio ancora tra arte, tecnica e scienze, condiviso anche dalla Bauhaus. A seguito dello scioglimento delle vecchie accademie, nell’ex Unione Sovietica nacquero i Liberi atelier statali, detti Svomas, tra i quali vanno quantomeno ricordati i Collegi per l’arte e l’industria artistica di Pietrogrado e di Mosca, dove insegnarono Kandinskij, Malevič, Tatlin e Rodčenko. Nel dopoguerra, i contatti tra l’arte sovietica e tedesca furono sempre più frequenti e, fra il 1920 e il 1928, Berlino divenne progressivamente un centro internazionale di propagazione centripeta e centrifuga dell’esperienza artistica est-europea. In questi anni, infatti, grazie alla forte presenza russa e al cosmopolitismo della capitale, l’influenza della Germania si estese oltre le frontiere geografiche del paese, fino a comprendere gran parte dell’Europa orientale: l’Urss, l’Ungheria, la Romania, la Polonia e l’attuale Repubblica Ceca, ex Cecoslovacchia. Berlino divenne un luogo in cui scrittori e artisti rivoluzionari, immigrati russi, ungheresi e polacchi, poterono confrontare le loro creazioni, non prive di punti in comune: un’ideologia di sinistra, l’opposizione alla guerra, lo spirito di una nuova, imminente rivoluzione. I punti di incontro, le reti che permisero in Germania il processo di simbiosi tra le differenti culture artistiche dell’est e dell’ovest europeo, furono gli atelier, i caffè, i manifesti, i congressi, le conferenze, le gallerie, le esposizioni, le pubblicazioni, le riviste, i libri e, non ultima, l’attività dei critici d’arte. I rapporti internazionali si concretizzarono anche attraverso la realizzazione di manifesti redatti in comune e mediante varie occasioni di incontro. Gli artisti di sinistra vollero collaborare, trovare una sintesi e, al tempo stesso, difendere la loro autonomia. Lissitzky, in particolare, si convinse che l’arte nuova non fosse soggettiva, ma si appoggiasse a una base generale che può essere scientificamente definita e che è di natura costruttivaL’artista, competente, e l’ingegnere sono i fratelli del lavoratore[10]. Una serie di mostre e manifestazioni organizzate a Berlino e a Mosca tra il 1919 e il 1924, legò gli artisti dell’Europa dell’est e dell’ovest: dalla Grosse Berliner Kunstausstellung, alla Frei Secession e, ancora, alla Berliner Kunstausstellung, nella quale Lissitzky organizzò una sala prouns dallo spirito costruttivista. Oltre alla Berliner Kunstausstellung, altrettanto importante fu l’esposizione sull’arte tedesca organizzata a Mosca nel 1924, che sancì il ruolo di Berlino come centro internazionale per gli artisti di sinistra. Nel 1926, infine, fu organizzata la Grosse Berliner Kunstausstellung, Ausstellung der Abstrakten, considerata l’ultima manifestazione delle tendenze d’avanguardia europee. D’altra parte, riviste come Cicerone, Kunst Blatt, Ararat, Jahrbuch der Jungen Kunst, Rote Fahne, De Stijl, MA, Zenit e Blok, contribuirono - sia in Germania, sia all’estero -  a cementare i legami tra i diversi movimenti artistici e a diffondere nuove idee[11]. Negli anni Trenta, tuttavia, i contatti reciproci tra l’ambiente tedesco e russo – alimentati dagli spostamenti di artisti e docenti – furono bruscamente interrotti a causa del Nazismo e dello Stalinismo, sostenitori di un’arte realista, accademica e accentrata nelle mani del governo, dai forti contenuti ideologici e propagandistici[12].


Personaggi come Lissitzky realizzarono un ponte tra l’arte sovietica e quella tedesca. Attivo a Berlino intorno al secondo decennio del XX secolo, egli frequentò gli esponenti delle avanguardie tedesche, compreso Moholy-Nagy, e collaborò al periodico De Stijl e al gruppo di architetti costruttivisti ABC. I suoi fotomontaggi furono un mezzo di propaganda dell’ideologia sovietica, fondato sull’accostamento e sull’associazione di parole e di immagini (fig.3). Parole che nei suoi manifesti politici, seguendo schemi compositivi geometrici di ascendenza suprematista, si univano a elementi fotografici, collegando l’immediata leggibilità della figurazione all’impersonalità figlia della nuova concezione dell’arte, sempre più strumento meccanico ai fini propagandistici.

3.       El Lissitzky, Il Costruttore, 1925.

Rodčenko, Lissitzky e gli altri artisti costruttivisti si dedicarono anche alla rappresentazione degli eventi e dei personaggi importanti del comunismo sovietico. Il primo maggio, le campagne di guerra e la costruzione delle infrastrutture furono solo alcuni dei numerosi soggetti trattati nei loro montaggi, realizzati per esaltare l’ideale utopico rivoluzionario.
Vladimir Evgrafovič Tatlin e Rodčenko diedero vita al Costruttivismo. Lo sguardo gettato al Futurismo, i due si convinsero della possibilità di edificare una nuova società attraverso il diniego dell’arte del passato, contrapposta a una nuova visione estetica, basata sul progresso della scienza e della tecnica. Nel dibattito nato all’interno del gruppo tra formalisti e produttivisti, Tatlin si schierò infatti a favore dei secondi, sottolineando la necessità di un’arte politicamente impegnata e tesa alla progettazione e alla realizzazione concreta del pensiero sovietico. Una concezione, questa, approvata anche dal produttivista Rodčenko – che studiò le applicazioni pratiche dello strumento artistico sulla vita di tutti i giorni, utilizzando nuovi mezzi di comunicazione, dalla grafica pubblicitaria al design, dalla fotografia al cinema – e dagli intellettuali del Realismo socialista di Stalin, con i quali l’arte divenne strumento di propaganda al servizio del partito comunista. Tra queste due strade, apparentemente antitetiche, s’inserisce la via intrapresa da Heartfield con il fotomontaggio, posta esattamente a metà tra i due orientamenti culturali. Con i costruttivisti, Heartfield condivise in particolare l’idea di un’arte funzionale destinata alle masse[13]. Nel 1920 il Monteurdada, direttore dei progetti tipografici della Malik-Verlag, disegnatore di scenografie e produttore di film di propaganda, aveva partecipato alla Internationale Dada Messe e si era avvicinato al Costruttivismo, come dimostra una fotografia nella quale, accanto a Grosz e alla loro scultura, egli sorregge un manifesto con su scritto Die Kunst ist tot. Es lebe die neue Maschinenkunst Tatlins[14]. I fratelli Herzfeld e Grosz erano in sintonia. A dimostrarlo, L’arte è in pericolo, un testo pubblicato nel 1925 dalla Der Malik Verlag, nel quale l’ex Propagandada e Wieland Herzfelde, fratello di John, avevano precisato:            

Il compasso e la riga hanno scacciato l’anima e le speculazioni metafisiche. Sono arrivati i costruttivisti. Essi vedono con maggiore chiarezza nel nostro tempo, non si rifugiano nella metafisica. I loro fini sono liberi da pregiudizi antiquati, ormai andati in rovina. Vogliono oggettività, vogliono lavorare per bisogni reali, vogliono di nuovo, nella produzione artistica, uno scopo controllabile. Nella pratica, purtroppo, i costruttivisti hanno un difetto: non conseguono il loro scopo perché si ostinano, per lo più, a rimanere nella sfera della operazione artistica. Dimenticano, di solito, che c’è un solo tipo di costruttivista: l’ingegnere, il capomastro, l’operaio metallurgico, il falegname, insomma il tecnico. […] in Russia questo romanticismo costruttivista ha un senso ancora più profondo ed è in effetti condizionato socialmente molto più che in Europa occidentale. Là il costruttivismo è in parte il naturale riflesso della poderosa offensiva macchinista legata all’industrializzazione. […] la forza suggestiva dell’estetica macchinista, i misteri della tecnica al confine, per i profani, con meraviglie celesti, diventano punti di contatto con le masse che reagiscono più col sentimento che con l’intelletto. L’artista è – forse inconsapevolmente – mediatore e propagandista dell’idea di sviluppo industriale[15].

Opere come Der Monteur Heartfield o Tatlinesque diagram suggellano l’assimilazione del nuovo indirizzo da parte degli artisti dadaisti. Fra questi, Heartfield mosse la sua ricerca nel superamento del vuoto generato dalla pratica costruttivista evidenziato da Grosz ed Herzfelde. Un vuoto colmabile solo attraverso l’asservimento del mezzo estetico a scopi che lo trascendono. Passando per l’arte sociale del costruttivista dadaista, l’avanguardia russa ha certamente spianato, preparato, il terreno verso un realismo al servizio della causa rivoluzionaria. Ma il linguaggio adottato dai vari Lissitzky e Moholy-Nagy non è bastato a trovare un nuovo punto di contatto con le masse, che reagiscono empaticamente e, spesso, passivamente alla creazione artistica. Come già accennato, tale punto di contatto può essere raggiunto solo se l’arte cessa di essere autoreferenziale, e rinuncia a essere definita tale trasformandosi in uno strumento di comunicazione di massa. Per personaggi come Grosz ed Heartfield, l’artista non è più un creatore di forme e colori[16]: egli potrà solo scegliere fra tecnica e propaganda per la lotta di classe. E, in entrambi i casi, dovrà rinunciare all’arte pura. L’architetto, l’ingegnere, il disegnatore pubblicitario, il propagandista e il difensore dell’idea rivoluzionaria in lotta per una riorganizzazione sociale condivideranno, in questo senso, lo stesso destino.


Ed ecco che emerge un punto di contatto con il Realismo socialista sovietico e, in particolare, un collegamento con l’attività filmica del regista e teorico russo Sergej Ejzenštejn[17]. Tra Heartfield ed Ejzenštejn, infatti, può essere rintracciata una coincidenza di presupposti etico-estetico-ideologici. Nel ricco humus della cultura figurativa che, a metà degli anni Venti del Novecento, aveva abbracciato la Repubblica di Weimar e l’Unione Sovietica, entrambi furono mossi da un grande desiderio di sperimentalismo, dalla ricerca di una forma artistica adeguata a esprimere la nuova situazione storica. Essi condivisero la stessa missione sociale: palesare le contraddizioni dell’esistente raccordando i diversi momenti del reale[18]. Secondo Ejzenštejn e il suo concetto di ex-stasis occorreva rompere l’equilibrio della condizione abituale e raggiungere un nuovo stato affinché lo spettatore subisse l’influenza emozionale necessaria a muovere la sua coscienza. Tale  rottura era ottenibile solo aggredendo i sentimenti dell’osservatore [19]. Il film si trasformava così in una selezione tendenziosa di eventi, liberi da compiti strettamente narrativi e tali da esercitare sul pubblico un modellaggio psicologico conforme al fine conseguito[20]. Con i fotomontaggi realizzati a decorrere dal 1924, attraverso la riduzione del numero dei frammenti presenti nella composizione, la produzione di Heartfield subiva uno scatto evidente rispetto alla dispersione poliprospettica delle composizioni dadaiste, arrivando a perseguire gli stessi obiettivi. Fotomontaggi che vengono citati dallo stesso Ejzenštejn in un brano della sua Teoria generale del montaggio, in cui il regista analizza il procedimento letterario del ‘centone’, comune al montaggio cinematografico e pittorico. Ne riportiamo un breve stralcio a dimostrazione di quanto le loro idee fossero in assoluta simbiosi:

[…] Pezzi di cronaca, ripresi secondo una certa disposizione tematica e nell'ambito di un certo sistema ideologico, si trasformano completamente nell'un senso come nell'altro grazie ad accostamenti diversi e a combinazioni con altri frammenti di altri avvenimenti di diverso soggetto […]. Prima di diventare uno dei componenti del cinema, il metodo del centone passa attraverso un altro stadio che potremmo chiamare lo stadio del centone pittorico. L'apparizione di questo genere, la moda e l'interesse per esso risalgono al XVIII secolo, quando questo divertimento fu definito decoupage. Potremmo inserire qui direttamente la serie dei maestri del decoupage che non giocano più con questo genere come amatori, ma lo adottano per esprimersi artisticamente a modo loro: Max Ernst (per esempio la raccolta La Femme 100 tete, cfr. film. 36-39) o i fotomontaggi di John Heartfield e di Rodčenko, che con questo metodo hanno lottato per le loro idee sociali[21].

In Heartfield come in Ejzenštejn, il montaggio degli elementi scelti, l’accostamento di più componenti, produce un pensiero e, attraverso il procedimento analogico, realizza una sintonia perfetta tra il linguaggio logico e visivo. È probabile che per entrambi, proprio il Costruttivismo e le teorie del Formalismo russo abbiano costituito il punto di partenza comune dal quale desumere il criterio di condensazione figurativa e semantica adottato nelle loro creazioni. Peraltro, attorno al 1929, in vista della mostra Film und Foto di Stoccarda, il regista sovietico si era trasferito a Berlino, portando con sé alcuni scritti teorici sulla costruzione dell’immagine; negli stessi anni, sulla scorta delle teorizzazioni del regista russo, Heartfield aveva modificato ulteriormente il suo stile[22].
Non v’è purtroppo lo spazio necessario per addentrarsi all’interno di tale affascinante argomento. Dovendo necessariamente sintetizzare, concludiamo che i due, per certi aspetti, condivisero la medesima idea di montaggio: non una mera tecnica basata sul taglio e sull’incollatura, ma l’emblema di una concezione dell’arte che riflette una precisa concezione del mondo; un processo fondato sull’humour, sulla composizione, compenetrazione e, soprattutto, sul conflitto sensoriale e sinestetico degli elementi[23].
Per entrambi fu valido il criterio dello shock percettivo, determinato dall’accostamento dicotomico di immagini violentemente e volutamente contrastanti (figg.4;5;10). Inoltre, i due sfuggirono a ogni tipo di catalogazione, classificazione o etichetta, dal Ritorno all’ordine alla Neue Sachlichkeit. Comune fu la disponibilità, da parte dei due artisti, a sacrificare il piacere edonistico-formale proprio dell’opera d’arte per un linguaggio realistico, che avesse un’influenza diretta sulle masse e perseguisse un obiettivo specifico: la propaganda attraverso l’immagine[24].


     
4.       John Heartfield, Film tedesco parlato, fotomontaggio, pagina illustrata per il libro Deutschland über alles di Kurt Tucholsky. Berlino, Neuer Deutscher Verlag, 1929.

5.       Sergej Ejzenštejn, Fotogramma da‘ Que Viva México!’, 1932.



Les piliers de la culture et de la morale bourgeoises commencèrent à s’effondrer sous l’influence de la guerre impérialiste de 1914-1918. Les artistes prenaient du retard sur les événements. Le crayon se révélait être un moyen trop lent. Il était débordé par les mensonges répandus par le presse bourgeoise. Ne pouvant tenir le tempo, les artistes révolutionnaires restaient à la traîne, ils ne parvenaient pas à fixer toutes les étapes de la lutte du prolétariat… L’artiste prolétarien doit bravement regarder en face le fait que la photographie a continué d’évoluer. Si je rassemble des documents photographiques et que je les dispose face à face intelligemment et habilement, ils exerceront sur les masses un effet énorme de propagande et d’agitation. Pour nous, c’est cela le plus important. C’est la base de notre travail. C’est pourquoi notre tâche est d’agir sur les masses de la façon la meilleure, la plus forte, la plus profonde. Si nous y parvenons, nous aurons alors donné naissance à un art véritable[25].

Così Heartfield si era espresso riguardo all’uso politico dei mass media e della fotografia nel campo dell’arte. Per l’ex Monteurdada, la matita si rivelò essere un mezzo troppo lento. Oltrepassata dalle menzogne diffuse dalla stampa borghese, la grafica cedette il passo alla tecnologia, alla giustapposizione scaltra e intelligente di documenti fotografici, capaci di esercitare un’enorme influenza di propaganda e di agitazione sulle masse[26]. Un pensiero condiviso anche da Rodčenko, per il quale la fotografia fu il mezzo di espressione naturale del mondo industriale[27]. L’uomo dell’era industriale era alla ricerca del linguaggio più idoneo a ritrarre la sua concezione del mondo. Tale linguaggio risultò essere costruttivista: univa una fede entusiasta nella tecnologia moderna, il suo potere di riformare la società, alla scelta di punti di vista dinamici e reali. 
Negli anni Venti i nuovi impulsi economici, la stampa illustrata e l’industria pubblicitaria determinarono la rinascita del mezzo fotografico, inizialmente investito dal pregiudizio di una obsoleta concezione dell’arte, considerata estranea a ogni tipo di processo tecnico-produttivo. Contemporaneamente, l’ungherese Moholy–Nagy affermò che il compito dell’artista era quello di usare tutti i media e le tecniche in senso produttivo e non riproduttivo[28]. Per lui, l’arte aveva l’obiettivo di perfezionare l’uomo moderno, di cui la fotografia e il cinema, estendendo i limiti dell’occhio naturale, offrivano una nuova visione. Proprio nella sua opera Pittura, fotografia, film, il costruttivista affrontò le problematiche della configurazione ottica e le possibili relazioni fra i mezzi fotografici, cinematografici e artistici, fra arte e tecnologia, al fine di rintracciare nuove forme compositive che andassero al di là dello specifico fotografico[29]. Nel capitolo intitolato Futuro della tecnica fotografica, tra le varie possibilità di applicazione del dispositivo, egli elencava anche il fotomontaggio:

associazione e proiezione di immagini sovrapposte o accostate l’una all’altra; penetrazione; concentrazione di scene da organizzare: elementi surreali, utopia e scherzo (qui sta la nuova arguzia!), strumento pubblicitario; manifesto; propaganda politica; mezzo per creare libri di fotografia, vale a dire con fotografie al posto del testo; tipofoto[30].

Sempre secondo Moholy–Nagy il tipofoto, definito comunicazione visiva rappresentata più esattamente[31] rispondeva, invece, alla diffusione immensa dei servizi d’informazione. Solo in tempi recentissimi –  egli scrisse – ha avuto inizio un lavoro tipografico che impiegando i contrasti del materiale stesso (caratteri, segni, valori positivi e negativi della superficie) cerca di stabilire delle rispondenze con la vita attuale. Il procedimento diventava elemento necessario di collegamento fra il contenuto della comunicazione e l’individuo che la percepisce[32].
Inoltre, la fotografia impiegata come materiale tipografico trovava nel fototesto (sostitutivo delle parole) un veicolo di informazione e, spesso, di propaganda:

Dalle connessioni ottiche e associative si sviluppa la composizione, la rappresentazione: in una continuità visuale-associativa-concettuale-sintetica: nel tipofoto, come rappresentazione inequivocabile in una forma otticamente valida [33].

L’uso della tipografia come mezzo per ‘urtare’ visivamente le capacità psichiche dell’osservatore, era già presente nei dadaisti tedeschi Schwitters, Heartfield, Höck e Hausmann[34]. Con loro si intrapresero le ricerche più innovative, soprattutto attraverso il collage e il fotomontaggio, che Heartfield praticò precocemente e con successo per la copertina di Der Dada n.3 (1920). Già durante l’esperienza precedente, infatti, egli aveva compreso come il lavoro grafico delle pubblicazioni, delle copertine e dei volantini avesse un immediato impatto visivo.
A partire dal 1918 in Germania il governo e i socialisti, con l’aiuto di manifesti e volantini, principiarono una grande campagna politica, durante la quale del tutto nuovo fu il tentativo di invogliare parte della avanguardia artistica alla pubblicità di partito[35]. Tuttavia, le committenze non coinvolsero né gli esperti in pubblicità commerciali e propagandistiche, né i manifestanti del 1918-19, come Heartfield e Grosz. Rapidamente, tale attività divenne un’arma letale nelle mani dei diversi partiti di destra e di sinistra. Infatti, dal 1928 e per conto della KPD, Heartfield realizzò una serie di fotomontaggi destinati alla cartellonistica elettorale. Con le loro immagini semplici e immediate, i testi significativi e i riferimenti all’azione, essi furono principalmente agitation[36]. L’efficacia dei manifesti prodotti dal Partito Comunista Tedesco, tra i quali ricordiamo Der Hand hat 5 Finger di Heartfield (1928) e Pour un axe ouvrier rouge di Sándor Ék (1924) – ispirato al Prolétariat géant di Daumier – fu altresì avvalorata dalle forti impressioni suscitate nell’avversario politico, in particolare nell’NSDAP che, tra tutti, riservò alla comunicazione un ruolo primario. Nel 1925, a questo riguardo, Adolf Hitler disse:

[…] io mi sono sempre estremamente interessato all’attività di propaganda. Ho visto in lei uno strumento che le organizzazioni sociali- marxiste dominarono con una destrezza magistrale […][37].

Secondo lo statista, l’avversario doveva essere sconfitto con le sue stesse armi. Per riuscirci, il Nazionalsocialismo decise di appropriarsi non solo del colore e dei simboli del movimento operaio, ma anche delle idee esposte nei manifesti di Heartfield. Partendo dall’opera Combattete con noi! l’SPD pubblicò Lavoro per il padre!pane per i bambini! dove, sullo sfondo nero, rosso e oro della Repubblica, delle mani offrivano pane e martelli ad altre mani tese. Nel 1932 l’NSDAP, ispirandosi a questo manifesto, ne ricreò uno intenzionalmente simile, ma dal carattere centralistico e surreale (figg.6;7;8)[38].

6.       John Heartfield, Combattete con noi!: vota la lista 6 dei comunisti KPD, 1932.

7.       Rynar, Lavoro per il padre!pane per i bambini! SPD, 1930.

8.       Anonimo, Lavoro e pane attraverso la Lista 1 NSDAP, 1932.

Dunque, nella Berlino degli anni Venti, il potere nascente dei mass media si mise al servizio di un grafismo funzionale. La tipografia cercò nuove e più adatte regole di composizione per una migliore leggibilità del messaggio. La moderna pubblicità giocò con la fotografia per creare un prodotto utile. E l’utilizzo politico del manifesto servì gli interessi dei governi contro quelli dei loro popoli. I partiti si impadronirono di un nuovo mezzo di veicolazione delle idee e il manifesto politico invase le strade popolate da disoccupati e senzatetto[39].


La versione offerta da Grosz sull’origine del fotomontaggio, priva di ogni tentativo di rivendicazione, è sicuramente la più interessante, in quanto attribuisce a Heartfield lo sviluppo delle possibilità insite nella nuova tecnica, nata come un gioco ma destinata ad avere un’enorme importanza:

Su un pezzo di cartone incollammo alla rinfusa annunzi di cinti per l’ernia, di libri commerciali e di alimenti concentrati per cani, etichette di bottiglie di grappa e di vino, fotografie di giornali illustrati, ritagliate a capriccio e assurdamente ricomposte… il tutto combinato in modo che il fotomontaggio dicesse con le sue immagini quello che a parole sarebbe caduto sotto le forbici della censura.
Preparammo così delle cartoline che potevano sembrare mandate dal fronte in patria o da casa al fronte. Alcuni amici, tra i quali Tretjakojj, ne fecero una leggenda, secondo cui «il popolo, anonimamente» avrebbe inventato, in questa maniera, il fotomontaggio… la verità è che Heartfield ne fu incoraggiato a sviluppare una tecnica precisa da quella che originariamente era stata soltanto una satira politica fatta per divertimento[40].

Avendo compreso l’insufficienza e la corruzione sottese alle consuete forme d’arte, Heartfield abbandonò il tono distruttivo delle azioni dadaiste per nuovi strumenti di espressione, trasmessi con mezzi di comunicazione altrettanto innovativi : i giornali, le copertine dei libri, la cartellonistica, il teatro e il manifesto di propaganda. Tra le sempre più numerose offerte dei mass media, egli selezionò i dispositivi più idonei a comunicare il proprio messaggio politico. Fin dai suoi primi fotomontaggi, l’appropriazione e la canalizzazione del loro potenziale al servizio della lotta rivoluzionaria determinarono la strada da seguire e, all’interno del più vasto campo tipografico e del disegno pubblicitario, Heartfield riuscì a trovare un suo peculiare canale di espressione, mediante il quale le montage confronte l’expérience du travail avec les structures de la réalité[41]. La critica politica avviata nella fase dadaista, dunque, evolse in una tecnica mirata alla messa in evidenza del reale, in un orientamento determinato dalle condizioni di ricezione visiva. Heartfield aderì all’ASSO, associazione affiliata al gruppo russo e ispirata alla Rote Gruppe, la cui attività va inserita nel travagliato contesto della Repubblica di Weimar, quando in molti artisti nacque la necessità di un rapporto più stretto con la KPD[42]. Sull’esempio sovietico tutti i componenti del gruppo, organizzato in distaccamenti territoriali, furono mossi dall’intenzione di utilizzare l’arte come un’arma al servizio del proletariato nella lotta di classe (Die Kunst ist eine Waffe), un’arma tesa anche al reclutamento di nuove leve nell’esercito di intellettuali impegnati a contrastare l’imminente ascesa del Nazionalsocialismo. La sezione ASSO di Berlino si distinse per un acceso dibattito critico, legato alla sperimentazione e al rigetto delle tradizionali forme artistiche, accettate, per contro, negli altri gruppi locali[43]. Dibattito che già da tempo aveva coinvolto anche Heartfield e Grosz, autori di un articolo polemico intitolato Kunstlumpdebatte (Dibattito sull’arte corrotta), pubblicato sulla rivista Der Gegner e rivolto al giovane professore d’accademia Oskar Kokoschka[44]. Le violenze subite dai proletari e la critica posta a una giustizia di classe, due dei temi più cari all’associazione, furono affrontate in modo ironico e originale da una creazione dell’artista, in cui appare ritratto con una grossa forbice nell’atto di tagliare la testa di Zörgiebel, commissario di polizia e spalleggiatore del Partito Nazista, afin de la replacer ailleurs ‘comme il faut'[45] (fig.9). A decorrere dal 1930, inoltre, l’ex dadaista collaborò al giornale operaio illustrato Arbeiter Illustrierte Zeitung, in cui raggiunse il punto culminante della sua azione. I fotomontaggi realizzati per conto di AIZ, considerati da Behne tra i più efficaci mezzi di propaganda e acutamente definiti fotografia più dinamite[46], ebbero una diffusione massiva e legarono inscindibilmente l’opera politica e informativa di Heartfield, raggiungendo una simbiosi senza precedenti. A questo riguardo ricordiamo le parole di Louis Aragon, che lo aveva definito il prototipo e il modello dell’artista antifascista (le prototype et le modèle de l’artiste antifasciste[47]):

Depuis Les Châtiments et Napoléon le Petit, aucun poète n’avait atteint les hauteurs où voici Heartfield face à Hitler. Car, aussi bien dans la peinture et le dessin, les précédents manquent- ils, malgré Goya, Wirtz et Daumier[48].

9.       J. Heartfield, Autoritratto con Zörgiebel, 1929.

Estraneo alla storia delle mostre e alle soluzioni formali della Nuova Oggettività, ma anche alle problematiche meramente figurative, Heartfield, nel 1924, passava quindi dalla rivoluzione dell’arte all’arte della rivoluzione e collaborava con il fratello, scrittore ed editore marxista, a numerosi progetti dalla finalità politica[49].

10.    John Heartfield, Nach 20 Jahren, 1924.

Opere come Nach 20 Jahren (fig.10), in cui giovani armati marciano sotto gli scheletri dei padri uccisi venti anni prima, conducono a una nuova strada che, dalla casualità degli accostamenti dei fotomontaggi dada, si indirizza progressivamente lungo la ricerca di effetti diversi, più vigorosi, visibili soprattutto nelle satiriche immagini di Hitler e nella creazione tanto famosa quanto psicologicamente violenta di Der Hand hat 5 Finger (figg.11;12;13)[50]. Qui, lo sfasamento tra parola e immagine – che impongono due diverse modalità di lettura, una più analitica e lenta, l’altra più sintetica - si risolve in un’opposizione dialettica spazio- temporale, dove il gioco ambiguo tra i procedimenti del leggere e dell’osservare propri del cubismo sintetico, appaiono ribaltati: la parola torna ad avere un significato intellegibile e si presta alla comunicazione verbale e visuale[51]. Il montaggio di Heartfield, dunque, si fonda sia sull’accostamento/opposizione delle figurazioni, sul gioco capzioso tra realtà e finzione proprio del cubismo francese, sia sul procedimento e sulla contrapposizione tra parola e immagine, in particolare tra complessità del messaggio verbale e semplicità del messaggio visivo. Oltretutto, la parola scritta sancisce la vera presa di coscienza del contenuto. Proprio in questo elemento starebbe l’aspetto rivoluzionario dell’opera di Heartfield: come accennato, la pariteticità tra scrittura e figura, tra tipografia e fotografia, appena teorizzata da Moholy–Nagy in Pittura, Fotografia, Film. E, per dirla con Jolanda Nigro Covre, nelle sue creazioni egli restituisce il messaggio che Picasso e Braque hanno frantumato, ma lo fa senza negarne il principio di discontinuità[52]. Ciò significa che il procedimento alla base del collage cubista e del montaggio politico di Heartfield è pressoché analogo, poiché fondato, oltreché sull’analogia tra elementi formali e significati, sul quel principio di discontinuità che Picasso e Braque, con l’inserimento di lettere e parole nell’opera, avevano precedentemente avviato.


11.    John Heartfield, Hitler il superuomo: ingoia oro e sputa latta, 1932.



12.    John Heartfield, Der Sinn des Hitlergrusses: Kleiner Mann bittet um grosse Gaben. Motto: Millonen Stehen Hinter Mir!, copertina per AIZ, 1932.                             
13     (a;b) . John Heartfield, Der Hand hat 5 Finger, 1928.

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Negli anni Venti Heartfield realizza una nuova sintesi tra indirizzi politicamente impegnati: fra il Dadaismo e la Neue Sachlichkeit, fra il Costruttivismo sovietico e il Realismo socialista. La sua adesione al reale, tuttavia, non è sovrapponibile né alla nuova oggettività dell’amico George Grosz, né all’impostazione astrattista dei costruttivisti. Il suo verismo non è apprezzabile sul piano formale e linguistico. Esso è visibile nel procedimento adottato, che si distacca da quello costruttivista perché originato da un’intenzionalità più rivoluzionaria della comunicazione. Se nelle creazioni di Lissitzky, Rodčenko e Moholy–Nagy la parola è inglobata nella forma e funziona in primo luogo da immagine, in Heartfield la scrittura ha un effetto d’urto determinato dal disequilibrio tra i tempi, i modi e gli spazi della lettura formale e concettuale. Per questo le sue creazioni possono essere felicemente confrontate con un altro medium artistico, quello grafico, soprattutto di indirizzo caricaturale[53]. Ma, in quanto a complessità del procedimento, esse finiscono per superarlo perché si muovono su un duplice piano: il naturalistico della fotografia e l’astratto-artificiale del montaggio[54]. Inoltre, una differente metodologia unisce l’esperienza dei vari Klucis, Lissitzky, Rodčenko e Stepanova: il montaggio inteso come scomposizione dei caratteri tipografici, come uso di forme geometriche rigorose che, combinate a immagini fotografiche, perseguono una impostazione specificamente ‘costruttiva’. In Moholy–Nagy, peraltro, la libertà creativa delle fotoplastiche non è mai rinnegata e nemmeno sacrificata all’ideale politico. Eppure ad accomunare il lavoro del fotografo ungherese, di Rodčenko e di Heartfield vi è più di un elemento. Tanto per cominciare, una concezione della fotografia come ‘arte del presente’, come unico strumento in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo, compreso quello propagandistico. Inoltre, nei loro fotomontaggi i caratteri tipografici non soltanto costituiscono il nucleo semantico fondamentale dell’opera, ma assolvono alla funzione di ‘mezzo unificante’, collegando il contenuto della comunicazione alla figurazione. L’artista diventa essenzialmente un ‘regista della composizione’ e quest’ultima viene organizzata secondo una logica ferrea, basata sulla chiarezza e sulla leggibilità del messaggio. Li avvicina, ancora, un’idea del procedimento tipografico quale punto di raccordo tra contenuto e individuo.
Intorno al secondo decennio del Novecento, con Rodčenko e con Stepanova, la fotografia entrava a far parte dell’arte del libro e del manifesto; quasi contemporaneamente, tra il 1922 e il 1924, col passaggio dalla fase dadaista alla produzione di immagini destinate alla propaganda, le composizioni di Heartfield variavano in modo radicale, anche grazie agli scambi tedesco-sovietici avviati negli anni cruciali 1922-23. Tali scambi hanno condotto l’artista a creazioni non più inquadrabili in un movimento. Dunque, come ha osservato Nigro Covre, dal 1924 il suo lavoro dovrà essere analizzato secondo i parametri di un'operazione estetica nell'ambito di una finalità di azione politica, in cui è assolutamente fondamentale il rapporto paritario tra parola e immagine[55]. Moholy-Nagy con il suo tipofoto ed Ejzenštein con la sua teoria del montaggio filmico non sono poi così distanti[56].
Volendo riassumere rimanendo però in tema di rapporto "arte-tipografia", si può concludere che nelle composizioni di Heartfield il lavoro minuzioso dell’alunno delle Arti Applicate, la tecnica e l’effet de surprise prodotto dall’uso del papier-collé, l’humour e il lato rumoroso delle azioni dadaiste appaiono esattamente condensati e bilanciati in un unico, nuovo, eloquio visivo. A ciò vanno aggiunte la collera e la spontaneità, il radicalismo e il rifiuto del compromesso, l’attenzione ai problemi sociali della realtà contemporanea, di cui già l’opera dadaista si era servita per scomporre le immagini convenzionali del mondo[57].


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[1] D. Riout, L’arte del ventesimo secolo, Giulio Einaudi editore, Torino 2002, p. 118.
[2] Ivi, p. 130.
[3] Nell’ex URSS, la tecnica del fotomontaggio si rivelò essere un innovativo ed efficace mezzo di comunicazione per le masse, in gran parte analfabete. Rodčenko, in particolare, si servì dello strumento fotografico e del fotomontaggio per realizzare manifesti politici e illustrare libri. L’artista, inoltre, fu a contatto con Moholy-Nagy, docente al Bauhaus statale di Weimar dove, nel 1923, sostituì Johannes Itten, contribuendo a consolidare la svolta costruttivista impressa da Gropius alla scuola e a promuovere l’insegnamento e la pratica della fotografia come autonomo strumento di espressione.
[4] L. Moholy-Nagy, Pittura Fotografia Film, a cura di Antonello Negri, Scalpendi Editore, Milano 2008, pp. 34-35.
[5] Ivi, pp. 34-35. 
[6] Cfr. E. Gillen, De la révolution intellectuelle à l’art politique, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 292-301.
[7] Ivi, p. 298.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] K. Passuth, Berlin centre de l’art est- européen, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p. 226.
[11] Si deve ricordare che, in questi anni, Heartfield collaborò con giornali e riviste come Rote Fahne, producendo articoli, fotomontaggi e inserzioni pubblicitarie.
[12]K. Passuth, Berlin centre de l’art est- européen, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 222- 231.
[13] En 1912, il travaille comme dessinateur d’emballages dans une imprimerie de Mannheim: S. Kriebel, John Heartfield,  in DADA, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou, 2005, p. 478.
[14] Dada, l’arte della negazione, catalogo della mostra a cura di Giovanni Lista, Roma, Palazzo delle Esposizioni 1994, p. 87.
[15] G. Grosz, W. Herzfelde, L'arte è in pericolo, in A. Negri, Carne e ferro. La pittura tedesca intorno al 1925, Scalpendi Editore, Milano 2007, pp. 226-27.
[16] Ivi, p. 233.
[17] Vedi S. M. Ejzenštejn, Forma e tecnica del film e lezioni di regia, a cura di Paolo Gobetti, Einaudi Torino 1964, pp. 365-516. Cfr. anche M. Regosa, Breve storia del cinema, BCM editrice, Milano 1998, pp. 70-74; limitatamente al rapporto con Heartfield, vedi J. Nigro Covre, L'arte tedesca nel Novecento, Roma, 1998, pp. 103-112.
[18] M. Regosa, Breve storia del cinema, BCM editrice, Milano 1998, p. 71.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] Tutto il saggio è incentrato sulla ricerca dell' ‘Uomo’ attraverso la forma del cinema (di cui il montaggio è massima espressione); il contenuto per Ejzenstejn scaturisce dal sentimento profuso in quella forma e dalla urgenza sociale (‘socialista’) dell'autore: S. M. Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, a cura di P. Montani, tr. it. Marsilio, Venezia 1985 (1937), pp. 237-238.
[22] Per Film und Foto vedi anche H. Molderings, La seconde découverte de la photographie, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 250–265.
[23] Per Heartfield, Ejzenštejn e i costruttivisti sovietici, l’arte deve mettersi in sintonia con la macchina del mondo. Cfr. S. M. Ejzenstejn, Teoria generale del montaggio, a cura di P. Montani, tr. it. Marsilio, Venezia 1985 (1937), pp. XVI- XXII.
[24] Io fuggo dal realismo andando verso la realtà, scrisse il regista: M. Regosa, Breve storia del cinema, BCM editrice, Milano 1998, p. 71. Per la propaganda attraverso l’immagine: P. Hielscher, Propagande par l’image, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 410-19.
[25] Dada, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p.172.
[26] Art et Politique, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 304-305.
[27] H. Molderings, La seconde découverte de la photographie, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p. 252.
[28] L. Moholy-Nagy, Pittura Fotografia Film, a cura di Antonello Negri, Scalpendi Editore, Milano 2008, pp. 28-29.
[29] Ivi, p. 6.
[30] Ivi, pp. 34-35: Moholy–Nagy propone l’abbandono dell’idea di cinema come riproduzione di azioni drammatiche e si concentra sulle reali possibilità di sperimentazione insite nel dispositivo cinematografico. Sua, la concezione di un ‘cinema simultaneo’, il mezzo più idoneo a sviluppare ulteriormente le esperienze di montaggio avviate, nel corso degli anni Venti, dai principali esponenti del cinema sovietico come Kulešov, Vertov, Pudovkin ed Ejzenštejn.
[31] Ivi, p. 37.
[32] Ibidem.
[33] Ivi, p. 38.
[34] J. Brun, Typographie,  in DADA, Centre Georges Pompidou, Parigi, 2005, pp. 942 – 945.
[35] Dal novembre 1918 al 1924 alla rivoluzione, alla guerra civile, all’occupazione straniera, agli assassini politici, all’inflazione alle stelle corrisposero enormi sperimentazioni in campo artistico, dominato dagli espressionisti. Fra il 1924 e il 1929, per contro, la Germania godette della stabilità fiscale e politica, cui collimò in arte, con la Neue Sachlichkeit, una ricerca di obiettività, di realismo e di sobrietà. I tempi dello sperimentalismo parvero finiti. Tuttavia, dal 1929 al 1933 la disoccupazione crebbe a livelli disastrosi, le violenze si riacutizzarono e, di conseguenza, la cultura si fece specchio di questa nuova situazione socio-politica. Le divisioni s’approfondirono e i dibatti sfociarono nuovamente in violenze, esasperate dall’improvviso crollo della borsa e dalla profonda crisi economica mondiale. Questo è lo sfondo politico sul quale operarono i tanti partiti della Germania pre-nazista, con in testa la KPD di Heartfield e l’NSDAP di Adolf Hitler: Peter Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari 2002, pp. 183- 204.
[36] P. Hielscher, Propagande par l’image, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p. 415.
[37] Ivi, p. 416.
[38] Un’altra evidente analogia si può ricostruire tra un anonimo manifesto antifascista della KPD e il manifesto del NSDAP (1933) Führer noi ti seguiamo! Tutti ti dicono si, completamente opposti nei contenuti. Vedi P. Hielscher, Propagande par l’image, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 415-416.
[39] J. Costa, Construire avec des images, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p. 394.
[40] H. Richter, Dada. Arte e antiarte, ed. Gabrielle Mazzotta, Milano 1966, p. 142. Cfr. anche J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci 1998, pp. 103-112.
[41] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p. 424.
[42]L’ASSO, nata a Berlino nel 1928, è conosciuta anche sotto l’acronimo ARBKD, Associazione degli artisti figurativi rivoluzionari tedeschi: I. Torelli, ‘L’arte è un’arma’: attività di propaganda e iconografia dell’ASSO di Berlino, Lipsia e Dresda, in ‘L’Uomo Nero’, a. III, n.4-5, dicembre 2006, pp. 195-218.
[43] Inoltre, alla sezione berlinese aderirono anche altre formazioni, come l’associazione degli Zeitgemäßen (I moderni) i cui artisti praticavano un linguaggio di contaminazione tra Costruttivismo astratteggiante e Realismo. Cfr. I. Torelli, ‘L’arte è un’arma’: attività di propaganda e iconografia dell’ASSO di Berlino, Lipsia e Dresda, in ‘L’Uomo Nero’, a. III, n. 4-5, dicembre 2006, pp. 196-197.
[44] Il 13 marzo 1920 a Berlino le forze militari di estrema destra, sostenute dai Freikorps, provarono un colpo di stato contro la Repubblica ma il tentativo fallì. Durante una dimostrazione a Dresda e gli scontri che ne seguirono, una pallottola nei pressi della Gemaldegalerie trapassò il quadro di Rubens Betsabea al bagno e Oskar Kokoschka, manifestando il suo disappunto per l’accaduto, intimò di tenere tali bellicosi esercizi non più davanti alla galleria dello Zwinger, ma eventualmente nella spianata del poligono, dove la cultura umana non è messa in pericolo. L’appello di Kokoschka fece scaturire il cosiddetto Kunstlumpdebatte, durante il quale Grosz e Heartfield si scagliarono contro il professore definendolo un ‘pezzente dell'arte’: R. Tenconi, La seconda generazione dell’Espressionismo a Dresda. Nascita e dissoluzione della Dresdner Sezession Gruppe 1919, in ‘L’Uomo Nero’, a.III, n.4-5, dicembre 2006, p. 73.
[45] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p. 426. Il fotomontaggio introduce un altro tema di rilievo: l’autoritratto quale espediente più idoneo a esprimere la propria natura di uomo politicamente impegnato e in rivolta. Vedi I. Torelli, ‘L’arte è un’arma’: attività di propaganda e iconografia dell’ASSO di Berlino, Lipsia e Dresda, in ‘L’Uomo Nero’, a. III, n.4-5, dicembre 2006, p. 210. Cfr. anche P. Gay, La cultura di Weimar (1968), trad. it., Dedalo, Bari 1978, pp. 210-211.
[46] J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci 1998, p. 108.
[47] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, p. 424.
[48] Ibidem.
[49] J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci, Roma, 1998, p. 108.
[50] Per sollecitare la psiche del fruitore, questa si affida all’effetto tautologico del numero cinque (La mano ha 5 dita, con 5 respingi il nemico, vota la lista 5), alle parole e all’impatto crudo e oggettivo della mano aperta. J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci, Roma, 1998, p.109.
[51] Se per comunicare le lettere scritte necessitano di una lettura progressiva, l’immagine per mantenere la sua efficacia deve essere percepita e letta in un unico momento, deve essere osservata. Cfr. Peter Hielscher, Propagande par l’image, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 412-413.
[52] J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci 1998, p. 110.
[53] Si deve ricordare che, per l’efficacia dei suoi disegni, Grosz è il solo artista al quale Heartfield concede di utilizzare lo strumento grafico. Cfr. Milovan Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, 420-427.
[54] Cfr. J. Nigro Covre, L’arte tedesca nel Novecento, Carocci 1998, pp. 110-111.
[55] Ivi, p. 108.
[56] Cfr. L. Moholy-Nagy, Pittura  Fotografia  Film, a cura di Antonello Negri, Scalpendi Editore, Milano 2008, p. 37; S. M. Ejzenštejn, Teoria generale del montaggio, a cura di P. Montani, tr. it. Marsilio, Venezia 1985 (1937); K. Passuth, Berlin, centre de l’art est-européen, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 222-239.
[57] M. Stanic, John Heartfield (1891-1968) Portrait d’un artiste engagé, in Paris-Berlin, catalogo della mostra, Parigi, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Paris, Gallimard 1992, pp. 420-426.

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