sabato 22 dicembre 2012

Roma, Pinacoteca Vaticana, Tavola del Giudizio Universale da San Gregorio Nazianzieno, 1061-1071





Il dipinto è strutturato in cinque registri e bordato da una fascia rossa e da una banda esterna ornata da motivi decorativi a fogliette gigliate. I registri, separati da fasce, comprendono, in alto, una composizione centralizzata. All’interno del primo scomparto è il Cristo assiso sul globo cosmico, munito di croce astile e della sfera terracquea, affiancato da due serafini a sei ali (Ez 10,12) sulle ruote di fuoco (Ez 1, 15-20; 10, 9-12) e da due angeli.
Nella fascia sottostante, dietro un altare con gli Strumenti della Passione (la croce dorata, il libro, la lancia, i chiodi, la spugna, la coppa e la corona di spine) il Cristo orante è affiancato ai lati da due arcangeli in tunica rossa e loros dorato e dagli apostoli assisi in stalli gemmati con suppedaneum. Al di sotto corre la prima di quattro iscrizioni. Sul globo del Cristo appare «Ecce vici mundum» (Gv 16,33), mentre sui cartigli degli arcangeli compaiono le citazioni da Matteo 25, 34 e 41.
Nel terzo registro figurano i santi Innocenti (in questo caso, a differenza di San Paolo f.l.m. e di Anagni, abbigliati con vesti colorate) muniti di un libro sul quale si legge un passo tratto da Ap 6, 9-11. Al centro è santo Stefano, vestito da diacono, con la palma del martirio. A sinistra, alle spalle della Vergine, rivolta verso il Cristo nel gesto della Deesis, è il buon ladrone e, prima ancora, la figura di san Paolo. Quest’ultimo regge un cartiglio con la citazione della prima lettera ai Corinzi 15, 52 ed è posto a capo di una turba di chierici e laici. Dall’altra parte, invece, articolate in tre scene, sono le Opere di Misericordia (Mt 25, 31-46). Lo sfondo delle Opere comprende architetture classicheggianti e bizantineggianti, caratterizzate da elementi timpanati, portici architravati ed esedre.
Al di sotto corre ancora una lunga iscrizione, che guida alla lettura dell’immagine e fa riferimento al Giudizio. Nel quarto registro si assiste alla Resurrezione dei morti, i cui corpi appaiono rigettati dagli animali della terra e dell’acqua, affiancati dalle relative personificazioni della Tellus e dell’Oceanus. A destra due angeli suonano le trombe mentre, in sepolcri marmorei, appaiono piccole figure fasciate. Tra questo registro e il sottostante è di nuovo un’iscrizione, a descrivere le scene.
Nell’ultimo registro, in basso a sinistra, è una raffigurazione della Gerusalemme celeste, al cui interno è la Vergine orante affiancata da due sante, forse Prassede e Pudenziana. Alle loro spalle sono due figure femminili, poste a capo di una schiera di personaggi maschili. Più in basso, al di fuori della città, sono raffigurate le due donatrici, identificate con le iscrizioni Benedicta e Costantia abatissa. A destra si volge una scena infernale, con episodi punitivi. L’ultima banda conserva un’iscrizione che promette il Paradiso ai giusti.

Secondo Redig de Campos la tavola del Giudizio, inizialmente ricondotta al monastero femminile dei Ss. Stefano e Cesareo nei pressi di S. Paolo fuori le mura di Roma, doveva essere datata tra il 1040 e il 1080 circa (REDIG DE CAMPOS 1935; GARRISON 1984, pp. 153-192). Non era dello stesso avviso Wilhelm Paeseler secondo cui la rielaborazione iconografica del consueto trono con l’Etimasia (trono vuoto con le insegne di Cristo) del secondo registro - con il Cristo insieme ‘sacerdote’ e ‘agnello sacrificale’ - era intimamente connessa con il Dogma della Transustanziazione formulato dal Quarto Concilio Lateranense (1215) e promulgato dai Decretali di Gregorio IX (1234). Il dipinto, pertanto, andava spostato alla metà del Duecento. Se Salmi e Demus ricondussero la pittura ai primi decenni del XII secolo, Volbach e Matthiae la datarono agli ultimi anni del XII, inizi XIII secolo. Nel 1967 Peri la collocò in un arco cronologico compreso fra il 1061 e il 1071. Lo studioso, peraltro, verificò la sua provenienza dal convento di Santa Maria in Campo Marzio e precisamente dall’altare della chiesa di S. Gregorio Nazianzeno, ponendo in discussione la tesi del ‘Cristo Sacerdote-agnello sacrificale’ sostenuta da Paeseler (SALMI 1943, p. 290-293; DEMUS 1968, p. 119; VOLBACH 1940, pp. 41-54; MATTHIAE 1966, pp. 153-155; GARRISON 1984, pp. 153-192; PERI 1966-67). Per Edward Garrison, il Giudizio Vaticano andava agganciato alla seconda metà del XII secolo e, segnatamente, a quel revival di motivi paleocristiani che, da Pasquale II, sviluppò una vera e propria rinascita dei modelli antichi, anche per opera dei benedettini di Montecassino e di Cluny. La tavola fu confrontata con gli affreschi di San Niccolò in Carcere, con le scene del Tabernacolo di Tivoli, con gli affreschi del sottotetto di S. Croce in Gerusalemme, con le pitture di San Giovanni a Porta Latina e con alcuni manoscritti prodotti da Gregorio da Catino (Farfa). Le iscrizioni del pannello vaticano, affini ai tituli di San Giovanni a Porta Latina e della cripta di Anagni, erano, per lo studioso, frutto della cultura figurativa di XIII secolo. In altri studi il dipinto è stato variamente agganciato alla seconda metà del XII secolo (GANDOLFO 1988, PARLATO-ROMANO 2001), al primo XIII secolo (DE FRANCOVICH 1952; IACOBINI 1991) e, più recentemente, al termine dell’XI, inizi XII secolo, cronologia alta riproposta da Suckale nel 2002 (SUCKALE 2002). Alla luce delle recenti osservazioni sulla natura della comunità religiosa di Campio Marzio, Serena Romano e Felipe Dos Santos hanno considerato una sua datazione al terzo quarto dell’XI secolo, confermando l’identificazione della Constantia abatissa con la vedova Constantia, fautrice, nel 1030, di una donazione al convento. I due studiosi inoltre lo hanno posto in relazione con le icone di Palazzo Barberini e del Salvatore benedicente e, sulla base delle tracce di grappe sul retro della tavola, ne hanno proposto la sistemazione su una parete o su un altro supporto, probabilmente sotto le arcate della navata o nell’abside (ROMANO – DOS SANTOS 2006, pp. 49-53).
Negli anni Ottanta del Novecento Garrison considerò alcuni esempi di pittura monumentale iconograficamente contigui alla tavola vaticana: dagli affreschi di San Giovanni a Porta Latina alla decorazione della cappella dei Ss. Quattro Coronati; dalle pitture di Santa Cecilia in Trastevere del Cavallini agli affreschi di Santa Maria in Vescovio e, ancora, alla decorazione di Santa Maria Donna Regina a Napoli. A questo elenco lo studioso aggiunse la rappresentazione apocalittica della Cripta di Anagni, datata al 1237-1255. Tra gli esempi annoverati, Paeseler e Garrison si dedicarono, in particolare, al Giudizio conservato sulla controfacciata della chiesa di S. Giovanni a Porta Latina, considerato una perfetta ‘reductio’ del pannello vaticano (PAESELER 1938; GARRISON 1984, pp. 153-192).
Quanto ai modelli, è possibile che il dipinto abbia avuto un prototipo di tipo monumentale, ancora sconosciuto. La citazione di Panvinio « Frons basilicae intus totae picturis antiquis et parum elegantibus ornata est, Christi scilicet Servatoris novissimo die humanum genus indicantis » (BAV, Vat. Lat. 6781, f. 315) potrebbe riferirsi a un perduto Giudizio sulla controfacciata di San Giovanni in Laterano, verosimilmente successivo alla tavola vaticana. Qui, la divisione in registri trova un confronto in esempi precedenti: dall’avorio del Victoria and Albert Museum, al Giudizio di St. George alla Reichenau, a quello di Torcello, per proseguire con i codici del Beatus, alla Bibbia di Farfa, fino alla controfacciata di S. Angelo in Formis. Il Cristo sul globo del primo registro ha alle spalle una radicata tradizione iconografica, di derivazione imperiale e costantiniana (SUCKALE 2002, p. 40), romana ma anche ravennate. In particolare, il dipinto condivide con l’immagine del Cristo sul globo dell’abside di San Vitale a Ravenna il contesto eucaristico, enfatizzato dalla rappresentazione dell’altare con gli strumenti della Passione, forse di origine bizantina. Del resto, già Paeseler (1938) aveva in esso riscontrato la presenza di motivi romani, orientali e transalpini (PAESELER 1938; ROMANO – DOS SANTOS 2006, pp. 50-53), confermata da Garrison e da Suckale recentemente ripresa (SUCKALE 2002, p. 84). Un mondo che, per dirla con Dos Santos e Romano, « era venuto a contatto con l’Italia, con Roma e con Montecassino per il tramite delle personalità impegnate nelle prime fasi della Riforma, e per gli oggetti nordici che giungevano ad esempio a Montecassino durante i governi degli abati anteriori a Desiderio » (ROMANO – DOS SANTOS 2006, p. 53).

lunedì 3 dicembre 2012

Il Concept artistico dietro “Cactus” dei MAI PERSONAL MOOD: artwork, fotografia, scultura.


Artwork

L’arte contemporanea, in tutte le sue forme e manifestazioni, ci appassiona da sempre. La pittura, la scultura e le arti grafiche costituiscono un bagaglio culturale imprescindibile ed un punto di riferimento fondamentale per chi come noi fa musica contemporanea, proiettata verso soluzioni quanto più innovative e nuove possibile.
Nel processo di realizzazione di Cactus pertanto,  il peso e l’importanza che abbiamo affidato all’elemento grafico è molto forte.
La copertina doveva per noi avere un ruolo rappresentativo ed esemplificativo del concetto alla base del disco che, ad un ascolto prolungato, sembra emergere dai testi quanto dagli elementi musicali e sonori . Concept  sintetizzabile  in queste parole:
Cactus è un simbolo. Cactus cresce in un ambiente ostile, arido, sopravvive in condizioni difficili ed è protetto dalle sue spine.
L'impulso da cui è nato "Cactus" è stato generato da questa metafora, una metafora che per noi si è iscritta nel percorso che ci ha portato alla realizzazione di questo disco. 
Il Cactus si erige in questo modo a totem solitario, è una fuga, un ritorno, una difesa, una provocazione.
Ma come realizzare questa idea? Il nostro obbiettivo era quello di concepire un’immagine che fosse sì di grande potenza comunicativa ma che allo stesso tempo, presentasse un carattere  di novità e di non- banalità. Solitamente abbiamo concepito” in casa” l’artwork dei nostri lavori. Questa volta, analizzando il tutto col senno di poi, forse ci mancavano gli elementi espressivi ( figurativi e puramente tecnici) per dare vita alla nostra idea.  Fortunato è stato l’incontro con Maura Esposito, aka Capitan Magenta, artista sarda formatasi a Brera.
Non si è trattato di un consueto  lavoro su commissione  bensì  di una vera e propria collaborazione in cui il libero scambio di  idee ed una reciproca e immediata comprensione ne ha determinato la riuscita.
Sarebbe quindi riduttivo esporre solamente le nostre ragioni ed il nostro punto di vista.
Abbiamo quindi chiesto a Maura di spiegarci/ vi la tecnica, l’approccio e le modalità con le quali lei ha recepito e quindi tradotto la nostra idea:
“ Dopo uno scambio di idee e considerazioni con i Mai Personal Mood sul concept attorno al quale ruota il pensiero di questo progetto, ho iniziato a pensare a cosa potrebbe rappresentare per noi il "cactus". Ho inteso il cactus, il cui concetto all'interno del progetto del disco è quello di vita che cresce in ambienti ostili e aridi, simbolo di resistenza, protezione e lotta, come una parte anatomica, che cresce e ci sostiene. Ho pensato che il cactus potesse diventare simbolicamente la nostra struttura portante, lo scheletro che ci sorregge, attorno alla quale cresce e si forma la creazione del nostro corpo e del nostro pensiero, che supporta la nostra lotta per la vita che scegliamo di vivere nonostante le condizioni nelle quali ci muoviamo siano ostiche e difficili, qualcosa di intrinseco e naturale, nel particolare e in un discorso generale. Il collage è la tecnica che preferisco perché permette di dare ai miei lavori il gusto grafico ed eterogeneo che preferisco. Trascorro molto tempo a frugare tra vecchie illustrazioni di anatomia, o botanica ma in generale sono onnivora, ossessionata dalle immagini e sempre meravigliata dalla loro forza e bellezza.
Assemblarle, cercare un significato partendo da elementi che non avrebbero nulla a che fare l'un con l'altro, è come farli sposare, è come trasformarli, divengono magicamente altro da loro. Ogni immagine,ogni combinazione di immagini possiede talmente tanta forza da poter raccontare qualsiasi storia. Possono dire qualunque cosa”
.
È stata per noi un’esperienza molto stimolante, che ci ha permesso di allargare i nostri confini e di sperimentare un approccio al lavoro del fare musica in contesto nuovi e inediti e siamo certi, questo vale anche per Maura. 

Fotografia e Scultura

                Diverso ma derivante dalla stessa idea portante, è invece il lavoro fotografico realizzato da Giacomo Fè con la partecipazione di Francesca de Chiara al make-up, realizzato a Roma nel mese di Ottobre.
Tenendo presente la diversità di uso e fruizione dell’immagine fotografica, abbiamo realizzato un Cactus in forma di scultura post- industriale, utilizzando tubi di condutture idrauliche poggiato su di un cono di una cassa audio non utilizzata, quest’ultimo è  elemento di connessione con il lavoro musicale.
All’interno della struttura abbiamo inserito un neon di luce fluorescente.
La simbologia è chiara. Il Cactus così viene eletto a totem reale, elemento sacro e simbolo dei tempi  in cui viviamo.
La scultura diviene rappresentativa del paesaggio post- industriale, decaduto, ma che ha all’interno un’ anima, una vita; dimostrazione delle possibilità di vitalità ed esistenza anche in un contesto vuoto e apparentemente privo di significato.
Il totem diviene quindi oggetto di venerazione ed inserito in  contesti sia di natura selvaggia quando dichiaratamente metropolitani ed asettici.
                Il Cactus è fuga, rivolta, denuncia e provocazione ma anche vita, speranza e apertura.



Contatti:
Maura Esposito- Capitan Magenta:
http://teatrobalocco.blogspot.it/
http://vimeo.com/teatrobalocco
Giacomo Fé:
  http://www.giacomofe.it/
http://maipersonalmood.bandcamp.com/


lunedì 26 novembre 2012

Milano medievale: i mosaici del sacello di Sant'Aquilino in San Lorenzo Maggiore



Essendo andate perdute le decorazioni delle absidi dei più antichi edifici di culto romani e non essendo giunta fino a noi nessuna delle iconografie absidali degli edifici di età costantiniana, per avere un’idea dei primi monumenti figurativi di tipo basilicale si può fare riferimento, oltre al mosaico nell’abside della basilica di Santa Pudenziana a Roma, al collegio apostolico in forma semilunata rappresentato a mosaico in una delle absidi di Sant’Aquilino a Milano. Il mosaico che decora il catino absidale della nicchia a destra dell’altare di uno dei due sacelli ottagoni annessi alla basilica di San Lorenzo Maggiore, mostra infatti il Cristo circondato dai discepoli entro un fondo aureo, soggetto ampiamente diffuso in epoca paleocristiana. 




Nell’absidiola della nicchia a sinistra, invece, permangono frammenti di una composizione musiva con un pastore addormentato in prossimità di un ruscello e una quadriga, raffigurante con ogni probabilità il Rapimento di Elia in cielo, come tipo dell’Ascensione di Cristo. È interessante constatare come il collegio apostolico, associato al tema dell’Ascensione di Elia, compaia anche nei sarcofagi detti “a porte di città”, un gruppo di arche marmoree riservate a committenti altolocati e danarosi, tra le quali si ricorda l’esempio conservato nella basilica di S. Ambrogio a Milano, intitolato al generale vandalo Stilicone. Il tema è presente inoltre nella pittura cimiteriale romana e, segnatamente, nel cubicolo A dell’ipogeo di via Dino Compagni, la cui decorazione pittorica è datata all’inoltrato IV secolo.



I mosaici milanesi, ascritti al V secolo, testimoniano la crescente importanza della tecnica musiva a pasta vitrea, un tipo di rivestimento parietale nuovo e abbastanza duttile, che si fonde bene con lo spazio architettonico e lo esalta pittoricamente.  

Bibliografia principale:
F. Bisconti (a cura di), Temi di iconografia paleocristiana, Città del Vaticano 2000.
F. Bisconti (a cura di), Il restauro dell’Ipogeo di Via Dino Compagni. Nuove idee per la lettura del programma decorativo del cubicolo A, Città del vaticano 2003. 

giovedì 15 novembre 2012

Pillole dagli Stati Generali della Cultura


Di seguito una sintesi in pillole degli Stati Generali della Cultura che si sono svolti oggi a Roma con il patrocinio de Il Sole 24 Ore, l’Accademia Nazionale dei Lincei e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Speriamo non siano state parole buttate al vento.

-        Amato: la storia ci insegna che la cultura è un "affare" per le élite;
-        Amato: non cerchiamo modelli stranieri da imitare.
-   Amato: dobbiamo considerare di più ciò che dice l'articolo 9 della costituzione;
-        Amato: la cultura è anche aver rispetto di sè e delle opere d'arte delle città. Il vandalismo è controproducente.
-        Amato: scienze e tecnologie depresse.
-       Carandini: il ministero beni culturali è un morente ibernato. Tanto varrebbe chiuderlo.
-     Carandini: il ministero ha perso personale e il consiglio superiore ha eliminato la parte tecnica per risparmiare 10 euro!
-   Carandini: per spendere meno è necessaria una manutenzione programmata. Manutenzione, non emergenze.
-        Ministro Ornaghi: che fare? cooperazione interministeriale, con comuni e regioni. Cooperazione con il privato sociale;
-        Borletti Buitoni: necessitiamo di leggi per il terzo settore finalizzate alla tutela del patrimonio e all’occupazione;
-        Barca: Pompei? Non è solo questione di soldi. Mancano i sistemi giusti di incentivazione. Incapacità di spendere i fondi europei;
-        Profumo: la cultura è una pianta da coltivare. Bisogna coniugare coesione e ricerca.
-  Napolitano: perché la politica è stata così poco lungimirante sulla valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico?
-        Napolitano : valorizzazione dei talenti delle nuove generazioni.
-        Napolitano critica il governo nel suo complesso riguardo alla cultura;
-        Napolitano: la politica deve scegliere. Vanno detti più sì alla cultura;
-        Napolitano: ci vuole un'agenzia per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano;
-        Napolitano: l’articolo 9 è una scelta illuminante e lungimirante della nostra carta costituzionale.
-        Napolitano su Art. 9 costituzione: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
-        Napolitano: maggiori finanziamenti per una ripresa dello sviluppo del paese, per cultura e ricerca, tutela e paesaggio;
-        Napolitano: una nuova scala di valori nell'intervento pubblico.
-        Napolitano: Art 9 costituzione (cont): tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
-        Napolitano: innovazione nel diminuire la burocrazia e nel miglior uso delle poche risorse che ci sono;
-        Laterza: la sponsorizzazione è interamente deducibile ma forse non è lo strumento giusto;
-        Laterza: le agevolazioni per le ristrutturazioni edilizie non tengono conto del valore storico;
-        Pier Luigi Sacco risponde ai relatori del mattino: non sappiamo fare programmazione perché chi fa i bandi non li sa scrivere;
-        Pier Luigi Sacco cultura ed economia non devono essere distanti e contrapposte.
-        Belli: bisogna blindare programmi pluriennali, nessuno al mondo lavora su progetti annuali;
-        Belli: I musei devono proporre nuovi modelli di sviluppo aggregando tante e diverse professionalità;
-        Belli: la politica si rimbocchi le maniche e ci aiuti a costruire un nuovo Paese!
-        Santagata chiede un ministero per la cultura e non per i beni culturali.
-        Santagata: l'associazionismo intorno ai musei è scoraggiato perché i soci possono controllare, porre domande, partecipare.
-        Guerzoni: non credo negli incubatori pubblici delle imprese creative;
-        Guerzoni: la gente chiede di avere uno spazio per aggregarsi e per il co-working.
-        Guerzoni: la tecnologia, la digitalizzazione e l'accesso alla banda sono fondamentali;
-        Passera: l'impresa creativa è quella che ce la fa a restare sul mercato;
-        Passera: il governo ha dato poca attenzione alla cultura, impegnato a salvare il paese,
-        Passera: il nostro paese, molto spesso, non sa lavorare in sinergia, e il mondo della cultura soffre particolarmente di questo gap.
-        Passera: la globalizzazione si vince con identità forti: la nostra cultura.
-        Passera: non è solo il bene culturale che produce profitto, ma la sua RETE sul territorio;
-        Passera: bisogna educare i giovani al rischio d'impresa, ad investirsi e rischiare;
-        Massarenti: il nostro Manifesto Cultura dice che bisogna insegnare l'arte ai giovani ed indurli a una pratica artistica .
-        Massarenti: avvicinare i ragazzi all'arte, anche materialmente, nelle scuole, insegnando la musica, le discipline artistiche.
-        Massarenti a Passera: impegniamoci a creare un'agenda culturale e portarla al Consiglio Ministri.

sabato 10 novembre 2012

Roma medievale: il Giudizio Finale nell'Oratorio di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati.





Considerato una vera e propria cappella palatina e terminato nel 1246, l’ambiente, ubicato nel rione Celio e dedicato a san Silvestro, presenta una pianta rettangolare con volte a botte. Gli affreschi che lo decorano, realizzati nei primi anni del XIII secolo, narrano alcuni episodi relativi alla vita di Costantino, della madre Elena e di san Silvestro, 33° vescovo di Roma e papa della Chiesa Cattolica dal 314 alla sua morte. Il pavimento è in stile cosmatesco, mentre la volta è decorata con motivi di stelle e croci: al suo centro sono poste cinque maioliche originali, a formare una croce greca. La base della volta è decorata con un fregio a foglie. 
Il ciclo di affreschi, composto da 11 scene o pannelli, desunto dagli Actus Silvestri e ispirato alla vita leggendaria dell’imperatore Costantino I, è così strutturato:
-          parete d'ingresso: Costantino colpito dalla lebbra; Pietro e Paolo appaiono in sogno a Costantino malato e lo esortano ad affidarsi a papa Silvestro; I messi imperiali si dirigono al monte Soratte per incontrare Silvestro.
-          parete sinistra: I messi di Costantino salgono sul monte Soratte; Silvestro rientra a Roma e mostra a Costantino le effigi di Pietro e Paolo; Costantino riceve da Silvestro il battesimo; Costantino, curato dalla lebbra, siede in trono di fronte a Silvestro; Silvestro a cavallo, in corteo, è accompagnato da Costantino.
-          parete destra: Silvestro risuscita il toro ucciso dal sacerdote ebreo; Elena, madre di Costantino, ritrova la vera Croce; Silvestro libera il popolo romano da un drago.
        
La lunetta in controfacciata ospita un abbreviato Giudizio Finale, che si sovrappone alle prime scene di Costantino.

Già Guglielmo Matthiae (MATTHIAE 1988, pp. 139-140), grande esperto di storia dell’arte medievale, aveva notato come il Cristo del Giudizio fosse qui rappresentato con la spalla nuda, secondo una formula iconografica ripresa anche in una tavola della Galleria comunale di Marittima. Il Salvatore, raffigurato con i simboli della Passione, è seduto su un trono curvo e privo di dossale. La Vergine e il Battista, rispettivamente alla destra e alla sinistra del Cristo, sono in piedi nel gesto della preghiera e dell’intercessione. Ai lati prendono posto i principi degli apostoli Paolo e Pietro, a capo di due file di ‘synthronoi’. Sempre Matthiae avrebbe riscontrato nelle teste del gruppo centrale un’impronta bizantineggiante, visibile “nella depressione alla radice del naso”, con “la medesima svirgolatura con rialzo dell’arcata sopraciliare dei mosaici di S. Paolo fuori le mura” (MATTHIAE 1988, p. 140). Inoltre, egli ha evidenziato come nella pittura il gusto per le architetture fantastiche e irreali cedi il posto ad annotazioni semirealistiche, che tentano una precisazione ambientale.
Dal punto di vista stilistico i dipinti murali della cappella sono stati messi in rapporto con quelli di Tivoli (MATTHIAE 1988, p. 140), con l’opera del Maestro Ornatista della cripta di Anagni e con i mosaici absidali di S. Pietro e di S. Paolo f.l.m. (PARLATO-ROMANO 2001, pp. 126-131). A giudizio di Matthiae, tuttavia, le affinità con il pittore del duomo di Anagni – considerato un «bizantineggiante più convinto» (MATTHIAE 1988, p. 142) – sarebbero soprattutto rilevabili nella ‘maniera’ dei due pittori e non in puntuali rispondenze formali. 
Secondo Zchomelidse la divisione in registri, gli angeli che suonano la tuba, il cielo srotolato, Cristo in trono con le stimmate, la Madonna Avvocata, il Battista e i synthronoi sarebbero piuttosto occorrenze iconografiche che avvicinano il Giudizio dei Ss. Quattro Coronati agli analoghi soggetti della tavola vaticana, di S. Maria del Vescovio e di S. Maria dell’Immacolata a Ceri (ZCHOMELIDSE 1996, p. 154).

mercoledì 7 novembre 2012

Avviati scavi presso il Castello medievale di Ereñozar


Il Consiglio Provinciale di Bizkaia e il Consiglio comunale di Ereño hanno firmato un accordo, del valore di € 66.325, per la ricerca archeologica e la conservazione del castello medievale di Ereñozar. L'accordo è stato annunciato oggi in una conferenza stampa. Tra gli edifici medievali più documentati in Bizkaia, il castello di Ereñozar, situato nel comune di Ereño, ha un "grande potenziale archeologico poiché conserva gli elementi relativi ai sistemi di difesa utilizzati durante il Medioevo ". Il sito è menzionato nella Cronaca di Alfonso XI, scritta nel XIV secolo, anche se l'origine del castello sembra essere più antica, come attestano gli archeologi, che hanno confermato l’uso dell'edificio già nel XII secolo.




Fonti principali:

domenica 4 novembre 2012

4 novembre 1966





Oggi ricordiamo l'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, l'ultima di una serie di esondazioni del fiume Arno. E ricordiamo anche l'intervento di Rotondi, dopo Brandi direttore dell' Istituto Centrale per il Restauro (oggi Iscr) dal 1961 al 1973, che, affondando nella melma alta, si accanì a sottrarre alla rovina quel che sembrava già perduto. Un prodigio fu l'allestimento rapidissimo, meraviglia degli stranieri, del gigantesco impianto di climatizzazione nella limonaia di Boboli, dove furono messe ad asciugare tante povere fragili tavole lignee. Tavole che proprio a Rotondi devono la salvezza della loro integrità. Nell'emergenza, infatti, si era fatta strada l'ipotesi sconcertante di trasportarle tutte su tela, distruggendo i supporti originali medioevali e rinascimentali, che invece, con pazienza e perizia, non furono sacrificati alla fretta e all'approssimazione.

Testimonianze fotografiche e video:

sabato 3 novembre 2012

Florens 2012. Qualche riflessione



di Serena Di Giovanni

Stamattina in Palazzo Vecchio è stata inaugurata Florens 2012, la Biennale internazionale dei beni culturali e ambientali. Tanti gli incontri e gli argomenti sui quali meditare, come il rapporto tra il pubblico e il privato, la valorizzazione e l'economia della cultura. Sì, perché Florens 2012 fa soprattutto riflettere. Su Twitter ho avuto, a questo riguardo, un'interessante e proficua conversazione con una responsabile di 24 ORE Cultura - Gruppo 24 Ore, a proposito dei privilegi fiscali concessi alle autorità politiche (e non solo) in materia di beni culturali, come gli ingressi omaggio ai musei, alle fondazioni, alle esposizioni d'arte, cinema e teatri. Ci troviamo d'accordo sull'idea che in un paese civile come dovrebbe essere quello italiano è impensabile che un politico di turno possa beneficiare indisturbato di tali agevolazioni, a discapito dei fondi pubblici destinati alla tutela e alla valorizzazione del nostro patrimonio. Su un punto però ci troviamo in disaccordo. Mi chiedo, estendendo a voi questo mio quesito, se sia davvero giusto che una mostra, per quanto valida, abbia un costo "fisso" per tutti, ivi compresi i disoccupati, che evidentemente non possono permettersi ingenti dispendi economici mensili e annuali. Non bisognerebbe invece tener conto, nelle riduzioni e negli aumenti, del reddito pro capite? in caso contrario, sarebbe giusto "tagliare fuori dalla cultura" una larga fetta del nostro paese, in chiara difficoltà economica, come prospettato dalla collega del 24 ore Cultura, che, alla mia domanda specifica, ha risposto: "non voglio essere cinica ma chi non arriva alla fine del mese ha altro in testa che visitare una mostra"? 

A voi l'ardua sentenza.

giovedì 1 novembre 2012

«Michelangelo, il cuore di pietra» su Sky Arte HD


Oggi alle ore 21 su Sky Arte HD, canale tematico interamente dedicato all’arte, visibile sui canali 130 e 400, è previsto il docufilm «Michelangelo, il cuore di pietra», un omaggio ai 500 anni della Volta Sistina, realizzato con l’Associazione Metamorfosi in collaborazione con Sky Arts Uk e Sky Deutschland. Nei panni del Buonarroti è l’ex «replicante» di «Blade Runner» Rutger Hauer; la voce è quella di Giancarlo Giannini. Il film è accompagnato da un documentario nel quale per la prima volta gli affreschi della Cappella Sistina saranno visibili in televisione in 3D.

Fonte: http://arte.sky.it/

martedì 30 ottobre 2012

Oriente cristiano: la Rotonda di San Giorgio a Salonicco



L’attuale Salonicco (un tempo Tessalonica, uno dei principali centri dell’Impero bizantino) è, insieme con Roma e Ravenna, luogo fondamentale per la ricostruzione degli orientamenti pittorici nell’Oriente e nell’Occidente cristiano di V secolo. La città sorse sulla Via Egnatia, una strada che, ricollegandosi all’Appia, da Brindisi giungeva fino in Albania (Durazzo), quindi in Grecia dove, passando per Tessalonica, continuava verso Costantinopoli. Sin dall’epoca tetrarchica, con Galerio (290- 311), essa assunse una discreta importanza. Coreggente di Diocleziano, cesare nella prima tetrarchia e augusto nella seconda e terza tetrarchia fino alla morte, sopraggiunta nel 311, egli fece realizzare a Tessalonica almeno due edifici: un arco di trionfo e una struttura circolare sorta in prossimità del palazzo imperiale. Il sito divenne presto sede del prefetto dell’Illiria e in seguito un apprezzabile centro bizantino. L’area urbana all’interno della cinta muraria, edificata da Teodosio I, era molto ampia. Se l’ippodromo e il palazzo imperiale sono andati perduti, l’arco di Galerio, detto anche camara - termine greco che indica una superficie voltata – e la rotonda, un'aula civile, prima trasformata nella chiesa di San Giorgio e in seguito divenuta moschea, testimoniano la sua fase tardo antica. L’arco di Galerio, quadrifronte, fu eretto nel 305 per commemorare la vittoria dell’imperatore sui persiani. Esso sorse sul punto di convergenza di due assi viari: una via monumentale porticata - dalla funzione processionale e civile - che conduceva all’ingresso della rotonda, e un altro asse che, attraversando la città, all’altezza delle mura si ricollegava con la Via Egnatia.[1]
Intorno al VII secolo la rotonda, in principio consacrata alla Potenza divina o agli Angeli, fu dedicata a san Giorgio. Costruita nel 300 da Galerio, essa nacque con una funzione civile, verosimilmente come aula di rappresentanza e più precisamente come sala del trono[2]. Due ipotesi campeggiano circa la sua antica funzione: poteva trattarsi del mausoleo di Galerio, sepolto a Romuliana in Serbia, oppure di un tempio dedicato a Zeus. La scelta di una pianta centrale è singolare e innovativa per l’architettura greca del tempo, ed è ispirata al Pantheon, eretto da Agrippa intorno al 27 d.C. e trasformato, agli inizi del VII secolo, in una chiesa cristiana dedicata a Santa Maria ad Martyres. [3] Come nel Pantheon, l’ingresso della rotonda di Salonicco era preceduto da un protiro e il vano centrale era coperto da una cupola di 24 metri di diametro, alla cui sommità era un oculo. In occasione della realizzazione dei mosaici l’oculo fu occultato dalla costruzione di una vera e propria copertura cupolata[4].
La cortina muraria è caratterizzata da mattoni con filari alternati di pietre e cotto, secondo una tecnica che un secolo più tardi sarebbe stata utilizzata per le mura di Costantinopoli. L’interno comprendeva un alto registro con finestre centinate e otto vani rettangolari voltati a botte, introdotti da colonne architravate e alternati a pilastri alleggeriti da nicchie frontonate contenenti statue.
Verso la fine del IV secolo, con Teodosio I, si procedette alla trasformazione della rotonda in cappella palatina. Intorno al 400 – 450, in occasione di tale trasformazione, fu aggiunta un’abside, fu accentuato il protiro e furono inserite delle tombe monumentali. Gli otto vani, originariamente chiusi, furono aperti al fine di ottenere una sorta di deambulatorio circolare, costruito in calcestruzzo e rivestito di mattoni.



La decorazione dell’interno era composta di rivestimenti marmorei e da un ricco programma musivo, solo in parte conservato. Il mosaico che adorna la cupola costituisce la più importante testimonianza di pittura monumentale di V secolo superstite in area orientale. La sua datazione è discussa e oscilla tra la fase teodosiana (fine IV), il V secolo e gli esordi del VI. Il mosaico della cupola era organizzato in tre fasce, alla cui sommità spiccava una Visione celestiale accolta dalle figure acclamanti delle bande sottostanti. A un primo medaglione con Cristo sorretto da quattro angeli alati, risponde una seconda banda, quasi del tutto perduta, della quale rimangono resti di un terreno erboso, tracce di vesti candide e di piedi posti in varie posizioni. I frammenti riguardano un coro di circa ventiquattro figure. Si tratta di un corteo simile a quello degli apostoli del Battistero Neoniano. Il quasi del tutto integro registro inferiore, posto sotto una banda resa con elementi geometrici zoomorfi e fitomorfi [5], è caratterizzato da un fondo aureo. La fascia, delimitata da una fittizia trabeazione e da una finta cornice a mensola, misura circa otto metri ed è suddivisa in otto pannelli larghi sei metri, inquadrati da naturalistiche candelabre vegetali. Ognuno dei sette pannelli superstiti è di qualità scenografica altissima e comprende due livelli di edicole coperte da cupolette o sormontate da frontoni con dei grandi fondali che nella parte inferiore si squadernano come complesse quinte architettoniche. Sia le architetture, sia lo sfondo sono resi con tessere auree: ne deriva che l’effetto di tridimensionalità creato dalle quinte scenografiche è immediatamente contraddetto dal fondo oro e dal tono su tono delle architetture. All’interno di queste strutture illusive si stagliano figure di santi oranti, immagini bidimensionali, costruite attraverso la linea, delle quali si osservano i sontuosi manti e i cui corpi sono soltanto immaginabili. Le architetture erano popolate da tendaggi, da pavoni e da volatili cari al simbolismo cristiano. Le figure di oranti, individuate da iscrizioni, inconsistenti e ieratiche, raffigurano martiri militari, privi di attributi di santità. Alcuni volti sembrano ispirarsi a dei ritratti antichi che, seppure idealizzati, non sono privi di una caratterizzazione individualizzante. In altri, la tendenza alla geometrizzazione e all’astrazione, alla semplificazione geometrica, prevale su qualsiasi tipo di carattere individuale.

L’ iconografia del mosaico di San Giorgio, espressamente pensata per lo spazio di una cupola, svolge il tema della Parusia, o II venuta di Cristo il quale, con una chiara allusione alla Gerusalemme celeste, è accolto e acclamato dalle figure rappresentate nelle sottostanti fasce.
E. Kitzinger propendeva per una sua datazione entro la metà del V secolo, al tempo della conversione della rotonda in chiesa cristiana, probabilmente ai decenni appena precedenti il 450. Lo studioso aveva insistito soprattutto sulla persistenza dell’illusionismo spaziale di matrice ellenistica. Kitzinger sosteneva come il tema base adottato a Salonicco non fosse troppo distante e dissimile da quello che costituisce il fulcro della decorazione di Galla Placidia. Anche nella rotonda, una visione celestiale alla sommità era accolta da un gruppo di figure acclamanti nella zona inferiore. Quanto al legame con la cultura figurativa ellenistica, rinviano a questo tipo di tradizione figurativa sia la decorazione di una cupola, di una volta o di un soffitto a cupola secondo una sequenza di cerchi concentrici o bande, sia la soluzione della banda più esterna e bassa con una sorta di zoccolo o dado, sorretto e completato da fregi e cornici fittizie.
Circa il programma e le soluzioni scelte, dunque, la rotonda può essere felicemente confrontata con la cupola del battistero degli Ortodossi e con il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, a testimonianza di come le radici delle commissioni placidiane vadano in direzione dell’oriente cristiano. 
Le ventiquattro figure del secondo registro, rappresentate in diverse pose, alcune addirittura di spalle, erano in attivo contatto con il Cristo trionfante del medaglione, sorretto da Angeli monumentali e introdotto da tre elaborate cornici. [6]  Il programma fu pensato in relazione allo specifico significato iconografico e alla composizione visiva che influiva sulla struttura architettonica. A un’attenta analisi dell’impianto compositivo emerge un dato interessante: la diversa natura dei tre registri. Nella fascia illusionistica, o apparentemente tale, la percezione dello sfondamento della parete era contraddetta dall’oro su oro degli edifici – diafani e immateriali - e dalle figure bidimensionali dei martiri oranti, gli atleti di Cristo immersi nei loro “palazzi celesti”.[7]. Il terzo registro si connotava come muro chiuso e la superficie piana della parete era completamente “accettata” dalle frontali figure di santi. Tale percezione contrastava con i caratteri di dinamicità e di naturalismo della banda immediatamente superiore, suggeriti dallo sfondo verde chiaro e dalle pose dei ventiquattro Seniores. In alto, nel medaglione, la figura di Cristo sorretto dagli angeli dava l’idea di uno spazio aperto, dettato dalla visione celestiale. Secondo Kitzinger, il disegno globale della decorazione di San Giorgio “aveva radici nella tradizione del primo secolo a. C., dove la parte superiore del muro era elaborata in modo tale da suggerire l’idea di uno spazio aperto al di sopra di una zona chiusa con uno zoccolo fittizio”.[8]










[1] Tale asse aveva la stessa funzione della Mese costantinopolitana.
[2] Krautheimer 1993, p. 87.
[3] L’edificio fu trasformato dall’imperatore Foca durante il pontificato di Bonifacio IV.
[4] La cupola del Pantheon misura circa 43 metri, mentre quella di Santa Sofia ha un diametro di 31 metri.
[5] Si tratta di motivi diffusi in area sasanide.
[6] Le tre fasce presentavano un motivo ad arcobaleno, un inserto floreale, e una decorazione a cielo stellato.
Tra gli angeli alati trovava spazio anche una fenice.
[7] Kitzinger 2005, p. 61.
[8] Kitzinger 2005, pp. 60-61.
(http://www.flickr.com/photos/sainthadrian/4113437282/in/photostream/)